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Verso il futuro
Alcune riflessioni sul ruolo della formazione universitaria e l’arte contemporanea

Workshop di ricerca La fine e altri inizi II: Oltre la catastrofe, organizzato dal corso di dottorato in Arti Visive, Performative, Mediali dell’Università di Bologna in partnership con Sapienza Università di Roma e Fondazione La Quadriennale di Roma, settembre 2023, foto Marta Tarica

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Da più di un anno e mezzo la Fondazione Quadriennale di Roma promuove il progetto Network inter-universitario, ideato per incentivare gli scambi tra il mondo accademico e lo scenario artistico contemporaneo. Docenti, ricercatori e studenti sono gli interlocutori privilegiati del progetto e molteplici sono le attività svolte sin qui: borse di studio su tematiche legate all’arte italiana del XXI secolo e al digitale; raccolta delle sinossi delle ricerche di dottorato in corso; convegni e seminari su aspetti specifici dell’arte del presente, come ad esempio il recente workshop dottorale La fine e altri inizi II: Oltre la catastrofe, dedicato ai rapporti tra arte e crisi climatica, promosso dall’Università di Bologna e La Sapienza di Roma (14-15 settembre 2023), che ha visto la partecipazione di numerosi giovani studiosi e studiose provenienti da atenei italiani ed europei, collettivi di artisti e ricercatori indipendenti. A breve, inoltre, sempre nello stesso contesto, verrà assegnato un premio per la migliore tesi di dottorato sull’arte italiana del XXI secolo[1]. Il Network nasce, infatti, dalla convinzione che, nello scenario attuale, sia cruciale per un’istituzione come La Quadriennale favorire rapporti sinergici, di carattere non episodico, tra chi lavora nel campo della ricerca scientifica e chi opera nel panorama artistico contemporaneo. Le università italiane, impegnate nei diversi ma interconnessi campi della didattica, della ricerca e della terza missione, sono, infatti, centri di elaborazione e sviluppo culturale essenziali per comprendere i fenomeni in corso, non soltanto, ovviamente, quelli della storia dell’arte. La ricchezza di idee, esperienze, metodologie sviluppate nell’ambito dei progetti di ricerca scientifica e all’interno degli insegnamenti tenuti nei diversi cicli della formazione universitaria sono, e si spera possano essere sempre di più in futuro, una risorsa preziosa per l’analisi critica dell’attuale scenario artistico. Invece di tornare a riflettere sulla carenza di attenzione nei confronti dello studio dell’arte del XXI secolo in ambito accademico[2], credo sia più utile considerare alcune sfide con cui è oggi chiamata a confrontarsi l’università, o per meglio dire, le università, considerate le tante differenze che caratterizzano gli atenei italiani in relazione alla numerosità degli iscritti/e, alla collocazione geografica, al contesto socio-economico di riferimento, alle strutture architettoniche ecc. Il sistema universitario incontra sfide per molti aspetti nuove, che vengono affrontate con progetti e piani strategici mirati. A oltre dieci anni dall’entrata in vigore della Legge Gelmini (L. 240/2010), i problemi sono ancora molti e, per certi aspetti, sembrano essersi aggravati. Già prima della riforma, l’università italiana era sottofinanziata e i dati OCSE vedevano il nostro Paese agli ultimi posti per ciò che riguarda l’ammontare complessivo dei finanziamenti pubblici agli atenei. Le contraddizioni legate all’aumento della quota premiale del Fondo di Finanziamento Ordinario (che vincola una parte dei finanziamenti al ‘merito’ degli atenei) sono state messe in luce da più parti[3], così come sono state evidenziate le criticità connesse all’incremento dell’autoreferenzialità citazionale, al sistema di reclutamento, alla ‘fuga dei cervelli’ e alla precarizzazione del personale docente. Secondo le stime riportate da Alberto Baccini, nel 2010 nell’università erano in servizio circa 58.000 professori e ricercatori a tempo indeterminato e 13.000 assegnisti. Nel 2020 il totale risulta invariato, ma il personale a tempo indeterminato è sceso a 46.000 unità, a cui si aggiungono circa 10.000 ricercatori a tempo determinato e 15.500 assegnisti di ricerca: «La quota di precari dell’università è così passata dal 18% al 35% del personale»[4].

Malgrado le numerose criticità, sono molte le azioni intraprese in questi anni dalle università italiane per rafforzare i processi di internazionalizzazione della ricerca e della didattica, per promuovere l’interdisciplinarietà, l’inclusività, i rapporti con il territorio e con le realtà professionali. Azioni che hanno, e auspicabilmente avranno ancora di più negli anni a venire, ricadute positive sull’avanzamento degli studi nei diversi ambiti disciplinari, anche in quello della storia dell’arte contemporanea. Per promuovere la comprensione del presente è, infatti, fondamentale incrementare buone pratiche che agiscano contemporaneamente su più livelli. Per confrontarsi con l’allargamento del perimetro dell’arte contemporanea, con gli sconfinamenti tra media e linguaggi diversi, con l’apertura a realtà geografiche e culture non occidentali e con gli sviluppi tecnologici, occorre, infatti, portare avanti azioni che potenzino l’innovazione nei campi della ricerca, della formazione e della disseminazione dei saperi nella società civile. Non bisogna, infatti, scordare che tra gli obiettivi dell’università vi è quello, fondamentale, di contribuire alla crescita culturale non soltanto di studenti e studentesse ma più in generale della cittadinanza. L’attenzione con cui le università italiane guardano ai processi di internazionalizzazione, ad esempio, è un fattore positivo. Attrarre studiosi dall’estero e accrescere il numero di visiting professors sono, infatti, strategie essenziali per allargare il ventaglio di metodologie di ricerca e di insegnamento e per diversificare l’offerta formativa. Sul medio e lungo periodo, questo processo si può riflettere positivamente sull’ampliamento delle prospettive di ricerca legate allo studio dell’arte contemporanea e sul rafforzamento degli scambi tra la scena artistica italiana e quella internazionale. La mobilità in entrata e in uscita di studenti, dottorandi e docenti, rallentata dalla crisi pandemica, può trasformarsi in un motore trainante per favorire la conoscenza dell’arte in Italia al di fuori dei confini nazionali. Inoltre, il fatto che studiosi internazionali, con alle spalle percorsi culturali e professionali diversi, si confrontino con lo studio della sperimentazione artistica prodotta nel nostro Paese può favorire lo sviluppo di letture critiche innovative, che partano da uno sguardo differente. Anche l’attenzione con la quale le università mirano a potenziare la qualità della didattica e gli scambi attivi con realtà professionali e istituzioni culturali operanti nel settore è un elemento centrale per rafforzare lo studio dell’arte contemporanea: tirocini e collaborazioni esterne, che vengono maturate sin dal primo ciclo della formazione, sono, infatti, occasioni preziose nell’iter di storici e storiche dell’arte del futuro. Molti colleghi vedono nel dialogo con l’esterno un punto di forza della loro attività didattica[5]. È su questo piano, in particolare, che la Quadriennale può giocare un ruolo importante: l’augurio è quello che, anche in futuro, la Fondazione possa proseguire nel cammino già avviato e continuare a investire in modo energie e risorse nei rapporti con le università italiane.


[1] Sulle attività del Network si rimanda al sito della Quadriennale: <https://quadriennalediroma.org/tag/universita/> (24 settembre 2023).
[2] Su questo aspetto si rimanda agli articoli pubblicati sui numeri 3 e 6 di questa rivista.
[3] A. Baccini, ll falso miracolo dell’università italiana dopo un quindicennio di riforme, in «Critica Marxista», 1, 2023, consultabile online su:<https://www.roars.it/il-falso-miracolo-delluniversita-italiana-dopo-un-quindicennio-di-riforme/> (18 settembre 2023).
[4] Ibid.
[5] Si rimanda agli interventi di Roberto Pinto (Università di Bologna), Giorgio Bacci (Università di Firenze) e Antonella Sbrilli (La Sapienza Università di Roma), pubblicati nel numero 6 di questa rivista.