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Vent’anni di visual cultures e studi curatoriali
Una messa in prospettiva sulla formazione delle figure professionali nel sistema dell’arte

The School to Be Done, a cura di CASTRO projects in collaborazione con il Dipartimento per l’educazione preventiva del MACRO, 2022, foto Antonio Perticara e Lorenzo Pallotta

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Negli ultimi vent’anni, il sistema dell’arte ha accolto e incentivato un bipolarismo sempre più accentuato: quello dell’artista-curatore. Nonostante sia emersa una maggior attenzione a un processo orizzontale di creazione artistica (come nell’ultima edizione di Documenta) e la consapevolezza che un ampio numero di professionalità partecipino allo sviluppo corale di progetti complessi, l’attribuzione rimane tradizionalmente ancorata a queste due figure.

Il fenomeno ha, da una parte, legittimato l’onnipresenza del curatore, rendendo il suo ruolo centrale e avvicinandolo a quella dell’artista in termini di libertà creativa; dall’altra, ha avvolto in un cono d’ombra una serie di figure professionali che concorrono allo sviluppo dei progetti, in molti casi esito di un operare collettivo.

La genesi di questo dualismo può essere rintracciata, alla fine del secolo scorso, nel tentativo di creare un maggiore dinamismo all’interno del sistema dell’arte e di superare la fissità di alcuni ruoli. Ne è sicuramente risultata un’amplificazione delle potenzialità creative, anche se il tentativo di creare delle figure ibride su un più ampio spettro si è arrestata su questo bipolarismo. Identificare e riconoscere una paternità biunivoca ─ sempre riferita ad artista e curatore ─ di un progetto genera un disequilibrio che non riguarda solamente l’onestà intellettuale o la questione delle gerarchie all’interno delle istituzioni, ma ridisegna l’effettiva importanza di ciascuna professione, riverberandosi nell’ambito della formazione.

Dall’inizio degli anni Duemila, all’interno delle università e delle accademie di belle arti sono nati i primi corsi e dipartimenti legati alla curatela, in seguito moltiplicatisi esponenzialmente. Tra le prime in Italia ad accogliere un percorso di studi curatoriali è stata la NABA – Nuova Accademia di Belle Arti – poi seguita dalle accademie e, infine, da diversi master e corsi di studi a cavallo tra Management dell’arte e Beni culturali, come la LUISS di Roma e I’Università Ca’ Foscari di Venezia.

La crescita dell’offerta formativa intorno al ruolo del curatore è certamente giustificata dalla professionalizzazione di questa figura e della posizione chiave che ricopre all’interno della scena artistica contemporanea. Essa risponde, tuttavia, anche a una domanda del mercato, in quanto l’aumento dell’offerta è direttamente proporzionale alla richiesta: sia da parte dei giovani che si apprestano ad accedere al mondo lavorativo e individuano nel curatore una strada in grado di condurre verso una promettente crescita professionale; sia da parte del mercato del lavoro, in termini di posizioni, bandi e residenze. Questa tendenza, oltre a condizionare l’offerta formativa di istituzioni pubbliche e private, determina una progressiva convergenza dei talenti nascenti verso quel ruolo, che meglio risponde alle esigenze precedentemente espresse.

Alla luce di quasi vent’anni di estesa presenza di studi curatoriali, è opportuno domandarsi quali siano effettivamente le figure e le competenze che tali corsi generano e se esse corrispondano alle reali necessità del sistema dell’arte; d’altra parte, è importante anche analizzare quali professionalità rimangano escluse dal percorso formativo e siano, dunque, tenute a formarsi direttamente sul campo di lavoro.

Nella costruzione di un progetto espositivo o editoriale, soprattutto se istituzionale, vengono coinvolti numerosi professionisti. Nel caso di una mostra, possiamo per esempio citare: coordinatori, producer, registrar, exhibition designer, allestitori. L’expertise di ciascuna figura è fondamentale per la realizzazione del progetto, dal momento che esso si sviluppa a partire da molteplici relazioni, le quali diventano parte integrante del processo creativo.

Queste figure, normalmente, provengono da percorsi formativi diversi e hanno strutturato la propria identità professionale attraverso l’esperienza lavorativa, andando a colmare le lacune lasciate dagli studi intrapresi. La figura del producer, per esempio, richiede delle competenze manageriali quali la capacità di gestire un budget, definire una timeline, coordinare un gruppo di lavoro (assistenti, fornitori, ecc.), ma allo stesso tempo necessita di una conoscenza relativa agli aspetti tecnici, per esempio legati alle esigenze di diverse tipologie di opere, alle lavorazioni dei materiali, alle strumentazioni AV o alle soluzioni allestitive. Non da ultimo, il producer è chiamato a interpretare le richieste dell’artista con una sensibilità tale da comprendere la natura profonda del progetto e supportarne lo sviluppo.

Un corso o un master focalizzati su questo ruolo sarebbero di facile organizzazione: basterebbe formulare un piano di studi in grado di far acquisire le conoscenze e gli strumenti sopracitati — attraverso lezioni frontali, l’analisi di case studies ed esercitazioni pratiche — per ottenere un buon risultato da un punto di vista accademico, proprio perché si tratta di competenze e informazioni che è possibile trasmettere e far apprendere se comunicate correttamente. Paradossalmente, il sistema universitario ruota, invece, intorno alla formazione di figure quali quella dell’artista e del curatore, che sono contraddistinte da una forte componente creativa e pertanto dovrebbero essere ritenute di difficile trasmissione.

Osservando i percorsi formativi di numerosi corsi curatoriali in Italia, si nota come questi siano costruiti su una forte base teorica, critica e creativa. All’introduzione, al pensiero e alla pratica curatoriale, segue di solito l’analisi delle best practices e dei modelli espositivi, per poi arrivare all’approfondimento della ricerca espressiva e a focus più specifici quali il diritto nell’arte e la gestione dei nuovi strumenti di comunicazione. Questo tipo di formazione risponde a un modello ideale di curatela, che, tuttavia, non corrisponde alle reali necessità che si incontrano soprattutto all’inizio della professione, quando è improbabile iniziare a lavorare in realtà già strutturate.

Una conoscenza più approfondita di aspetti non prettamente pertinenti alla pratica curatoriale tout court fornirebbe ai giovani professionisti dell’arte degli strumenti per muoversi all’interno del sistema lavorativo con minore difficoltà e per gestire con maggiore autonomia i progetti indipendenti. Soprattutto, un riconoscimento di questa necessità da parte delle istituzioni educative, mediante la creazione di master o corsi dedicati, consentirebbe di orientarsi in maniera più consapevole nella scelta professionale e nella selezione di ruoli più conformi alle proprie capacità, adeguandosi alle effettive necessità del sistema dell’arte contemporanea. Da una parte, dunque, i futuri curatori terminano il percorso di studi spesso senza sufficienti competenze negli aspetti più pratici ed essenziali dell’organizzazione di una mostra, dalla produzione alla gestione del budget; dall’altra, le figure che si occupano o si occuperebbero di questi aspetti faticano a trovare indirizzi per il loro ruolo nell’offerta formativa.

È, tuttavia, importante evidenziare come molti dei limiti dell’odierno sistema educativo siano riconducibili al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Per ricevere un riconoscimento da parte del MIUR, gli istituti sono, infatti, tenuti a rispettare linee guida caratterizzate da una ridotta flessibilità in termini di aggiornamento dei piani di studi. Per arricchire o integrare l’offerta, le istituzioni tendono a investire nel campo delle attività facoltative, come per esempio seminari e workshop, dove le università private hanno maggiori possibilità rispetto alle pubbliche.

Diverse realtà formative si sono attivate per colmare queste lacune, attraverso l’introduzione di progetti pratici e dedicando a queste tematiche momenti di approfondimento in forma di workshop e seminari, sebbene anche questo approccio risulti comunque insufficiente. I modelli internazionali sono sicuramente un riferimento importante, in quanto offrono piani di studi più completi e maggiormente orientati verso il mondo del lavoro.

Numerosi corsi e accademie hanno inserito un progetto di fine corso; per esempio, al termine di ogni anno, gli studenti del biennio di Visual cultures e Pratiche curatoriali dell’Accademia di Belle Arti di Brera, così come di CAMPO ─ corso di studi curatoriali avviato dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ─ sono chiamati a costituire un collettivo curatoriale e a seguire tutti i passaggi progettuali e organizzativi di una mostra: dal concept alla scelta degli artisti, dalla logistica agli allestimenti, dalla comunicazione alla redazione di un catalogo.

Per concludere, è interessante soffermarsi sulle iniziative promosse direttamente dagli studenti o da realtà vicine a giovani professionisti dell’arte. CASTRO, un progetto formativo con base a Roma, nel 2022 ha organizzato insieme al Museo MACRO un seminario intensivo intorno alla domanda «Come immagini il tuo corso ideale?». Le riflessioni, emerse nel corso del confronto tra un gruppo di studenti provenienti da università di tutta Italia, hanno portato alla creazione del ciclo di workshop HOW TO, organizzato in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Roma. Gli stessi studenti hanno così avuto la possibilità di seguire workshop con esperti del settore come AWI (Art Workers Italia), che si è occupata di approfondire temi relativi agli aspetti legali e di tutela dei lavoratori dell’arte, o altri professionisti che hanno guidato gli studenti verso una corretta presentazione del proprio lavoro, tra creazione del portfolio e statement personali.

Se nel caso dell’offerta universitaria, le mancanze precedentemente evidenziate possono essere ricondotte a diversi fattori, è difficile, invece, trovare una spiegazione per la totale assenza di bandi, residenze e borse di studio rivolte alle altre figure. Queste opportunità sono fondamentali in quanto arricchiscono il mondo della formazione, dando la possibilità di espandere le proprie conoscenze, fare nuove esperienze e ampliare il network. Oltre ai bandi pubblici, ci sono inoltre numerose opportunità promosse da istituzioni e centri privati, i cui board sono costituiti da professionisti che hanno piena consapevolezza delle necessità e delle dinamiche interne al sistema dell’arte contemporanea. Escludere figure quali coordinatori, project manager, producer, registrar, sembra invitare a ricondurre il loro lavoro a quello di meri tecnici. La possibilità di espandere il campo di ricerca e di acquisire nuove competenze determinerebbe, invece, un arricchimento per tutto il sistema, dal momento che andrebbero a crearsi figure più complete e motivate nel percorso di crescita.