Cerca
Close this search box.

Sognare l’impossibile è il primo passo per realizzarlo
I dottorati nelle accademie di belle arti, primi passi di un percorso

La sede dell’Accademia di Belle Arti di Roma di via di Ripetta, courtesy ABAROMA

Questo articolo è disponibile anche in: English

Le accademie di belle arti italiane hanno i dottorati. Le accademie di belle arti italiane non hanno i dottorati. Le accademie di belle arti italiane hanno i dottorati. Le accademie di belle arti italiane non hanno i dottorati. Le accademie di belle arti italiane hanno i dottorati. Le accademie di belle arti italiane non hanno i dottorati. Potrei continuare a scrivere la stessa frase fino a riempire tutte le pagine a mia disposizione, fermarmi a caso per inerzia, per noia o per mancanza di spazio, concludendo con una qualsiasi di queste due affermazioni, e nessuno potrebbe dire che sto mentendo.

La famigerata legge 508/99 – che, di fatto, sanciva il passaggio degli istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) all’università – stabiliva la possibilità di attivare i dottorati. Tuttavia, a distanza di più di vent’anni, manca ancora un decreto che consenta ad accademie, conservatori e agli istituti superiori per le industrie artistiche (ISIA) di rilasciare il titolo di dottore di ricerca in modo autonomo, come sede erogante e amministrativa.

Nella primavera del 2022, il Consiglio accademico dell’Accademia di Belle Arti di Roma, dopo lunghe riflessioni e accese discussioni, sceglieva di agire e di porre la prima pietra in questa direzione, stabilendo due borse di ricerca da assegnare ai laureati. Talvolta ─ come è scritto persino nei bigliettini che si trovano all’interno dei biscotti della fortuna – «sognare l’impossibile è il primo passo per realizzarlo».

Pochi mesi più tardi, con altre istituzioni AFAM, siamo riusciti ad attivare alcuni dottorati in consorzio con le università, pur persistendo la mancanza di decreti e di norme attuative.

Con l’Università di Roma Tor Vergata, l’Accademia di Roma ne ha avviato uno di interesse nazionale in Scienze del patrimonioculturale, con un proprio percorso in New media per la comunicazione e la valorizzazione del patrimonio artistico. Con il dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università degli Studi Roma Tre, è stato attivato il dottorato in Culture, pratiche e tecnologie del cinema, dei media, della musica, del teatro e della danza, il primo dottorato practice based italiano vinto dall’artista – ex allieva dell’Accademia di Roma – Chiara Mu.

Sebbene possa sembrare un’affermazione paradossale, soprattutto a chi lavora nell’arte, il possibile futuro dei dottorati AFAM, in Italia, sembra condizionato dal bisogno di definire la ricerca artistica.

Fino a poco tempo fa i programmi di studio di molte accademie d’arte erano chiaramente dominati da un modello di riflessione storico-artistica; ciò implicava una netta ─ e, a mio parere, gratuita ─ dualità: da un lato gli artisti producevano opere, dall’altro i critici e gli storici fornivano gli schemi e i metodi di riferimento per la loro interpretazione. La pratica odierna dell’arte, tuttavia, rifugge il pensiero monolitico inquadrato in modelli binari di verità (il metodo interpretativo) e illusione (il metodo creativo visivo). Le pratiche artistiche dimostrano, inoltre, che arte e metodo corrispondono spesso a elementi equivalenti e, soprattutto, interdipendenti nella ‘costruzione’ dell’opera. Tutto ciò ha generato uno spostamento dalle pratiche artistiche incentrate sui ‘prodotti’ a quelle che si occupano di ambienti sperimentali e laboratoriali e della ricerca di nuove forme di conoscenza e di esperienze.

Probabilmente, per definire la ricerca artistica e ammettere che il suo valore e la sua utilità siano analoghi a quelli della ricerca scientifica, sarebbe sufficiente leggere la definizione che il dizionario Treccani dà di quest’ultima: «Con la locuzione ‘ricerca scientifica’ comunemente s’intende l’insieme delle attività destinate alla scoperta e utilizzazione delle conoscenze scientifiche. Essa comprende sia la ‘ricerca fondamentale’, che è lo studio sistematico della natura e delle sue leggi a fini puramente conoscitivi a prescindere da scopi immediatamente pratici, sia la ‘ricerca applicata’, volta, invece, a individuare e sperimentare le possibili applicazioni pratiche delle conoscenze acquisite».

Basti guardare, anche superficialmente, alle immagini delle opere più rilevanti realizzate dagli artisti nei secoli, per comprendere che l’arte è una forma di studio sistematico della realtà e delle sue leggi a fini conoscitivi. Inoltre, dall’inizio del XX secolo, sono gli stessi artisti a definire il proprio lavoro in termini di ‘ricerca’. Alcuni esempi sono il Bureau de recherches surréalistes e l’Internazionale situazionista, o, più recentemente la Free International University (FIU) for Creativity and Interdisciplinary Research, fondata da Joseph Beuys nel 1973: «un’università libera, che integra il sistema educativo statale con il lavoro interdisciplinare e la cooperazione tra le scienze e le arti, e che si batte per l’uguaglianza giuridica all’interno dei sistemi educativi». Attualmente i collettivi che si occupano di ricerca transdisciplinare costituiscono uno dei fenomeni artistici più interessanti, soprattutto nei Paesi non occidentali, tanto che, nel 2022, la mostra internazionale documenta 15 è stata curata dal collettivo indonesiano ruangrupa.

Il dibattitto sulla ricerca artistica, la sua definizione e la sua non appartenenza a ciò che comunemente si intende per ‘ricerca’, ha assunto, nel nostro Paese, un carattere politico ed epistemologico, che non porta a semplici soluzioni. Eppure, in Europa, essa è stata istituzionalizzata in modo chiaro anche nel campo della formazione. Nel giugno 2020, sette organizzazioni europee per l’alta formazione (le scuole d’arte, i conservatori, le scuole di cinema e le facoltà di architettura) e due enti di accreditamento delle scuole d’arte ─ la Culture Action Europe e la Society for Artistic Research – hanno sottoscritto la Vienna Declaration on Artistic Research, in cui è scritto: «L’eccellenza nella AR (Artistic Research) è ricerca attraverso la pratica artistica e riflessione di alto livello; è un’indagine epistemica, diretta ad accrescere la conoscenza, l’intuizione, la comprensione e le  abilità. All’interno di questa cornice, l’AR è allineata con tutti gli aspetti dei cinque criteri principali che costituiscono Ricerca & Sviluppo nel Manuale di Frascati. Attraverso argomenti e   problemi derivanti e rilevanti per la pratica artistica, l’AR affronta anche questioni chiave di più ampio significato culturale, sociale ed economico».

Credo che queste dichiarazioni evidenzino come la ricerca non possa essere considerata un concetto coerente ed unificato, ma sia piuttosto una parola la cui semantica si basa su un consenso sociale; nella terminologia linguistica, la ricerca potrebbe essere paragonata a un ‘significante fluttuante’.

Per definire la ricerca artistica, ammesso che ce ne sia bisogno, non occorre collocare l’arte nell’ambito delle scienze empiriche, né sostenere che esista un modo per razionalizzare e decodificare le esperienze di percezione sensoriale in schemi interpretativi olistici; si tratta piuttosto di liberare la ragione e dotare l’arte stessa di una credenziale d’indagine necessaria.

Il pensiero artistico è ‘naturalmente’ difficile da orientare, in quanto è legato a ciò che deve ancora venire. Anche per questo motivo l’‘inutilità’ dell’arte, e la sua (s)definizione sono caratteristiche importanti, che le consentono – idealmente ─ di operare lontano dai circuiti tipici dell’informazione e dello scambio.

Per contro, il fatto di dibattere sulla ricerca cosiddetta practice based dimostra l’esistenza di un linguaggio condiviso, o almeno di un insieme comune di problemi e domande che definiscono la ricerca artistica: l’idea che l’arte sia una disciplina, ma anche parte di un insieme di discorsi, e che esistano regole in base alle quali abbiamo aspettative condivise e adottiamo convenzioni comuni che ne mediano i prodotti all’interno del linguaggio naturale e quotidiano.

Su questa duplice prospettiva dovrebbe fondarsi la definizione della ricerca artistica e dei dottorati a essa connessi.