Cerca
Close this search box.

TechnoPop

Oltre l’artista, verso l’artista
Alterazioni Video, Calm Before the Storm, courtesy gli artisti

Questo articolo è disponibile anche in: English

Parlare di popolare oggi non è cosa semplice. L’avvento delle tecnologie digitali ha permesso un impressionante aumento delle possibilità di manipolazione delle informazioni, abbassando i costi della tecnologia e, allo stesso tempo, creando programmi che permettono a chiunque in modo semplice di modificare immagini, suoni, e qualsiasi altra informazione si desideri. È stata la grande novità del digitale, già in nuce nelle tecnologie analogiche precedenti, quali l’elettronica del video e, ancora prima, la meccanica del cinema e della fotografia. Pensiamo all’epoca della fotografia e all’importanza dell’amateur, colui che poteva prendere in mano una macchina fotografica e realizzare un’immagine senza troppo impegno, un dispositivo tecnologico che permetteva a chiunque di produrre: «Voi premete il pulsante, noi facciamo il resto», affermava una importante pubblicità della Kodak già alla fine dell’Ottocento[1]

Il digitale prende in carico questa storia, questa capacità della tecnologia di semplificare i processi di produzione delle immagini (o dei suoni), e lo fa proprio grazie al suo automatismo, al fatto cioè che gran parte del processo è affidato alla macchina stessa, liberando l’uomo da funzioni complesse e meccaniche. Il digitale prende in carico, dunque, questa storia per portarla all’eccesso, al punto massimo, tanto da farci parlare di epoca post-amatoriale, crollo della professionalità, dominio della comunicazione popolare. Una comunicazione popolare creativa, che richiede un impegno da parte degli utenti, una produzione costante di immagini e suoni, e un rimescolamento continuo di questi, una comunicazione segnata da alcune tappe fondamentali come l’avvento degli smartphone nel 2007[2]. Immagini usate, rielaborate, ri-riutilizzate; immagini condivise, postate, rimodulate; immagini senza fonti, sconosciute e riconosciute: un grande, enorme, archivio dinamico, una cultura costantemente in evoluzione. 

È qui che entriamo nella seconda parte della questione del popolare, la ricaduta di questa facile ‘iperproduttività’: quella della massa di informazioni; l’immenso universo digitale che stiamo vivendo si caratterizza per essere un universo quantitativamente strabordante di informazioni. Una questione meramente quantitativa che ha una ricaduta qualitativa: sia, come abbiamo visto, nelle possibilità di creazione, sia nella necessità di inventare nuovi strumenti di orientamento e ricerca all’interno di un universo digitale in espansione (machine learning, semantic web, ecc.). 

Insomma, siamo tutti immersi in questo universo, nessuno escluso. E anche l’arte contemporanea vi è immersa. Anzi, forse gli artisti sono stati proprio i primi ad accorgersene, già prima dell’avvento del digitale[3]. Il punto ci sembra però oggi diverso, in questo mare di creatività che ruolo ha l’arte? Oppure, in che modo parlare di arte oggi? Come mette in luce Valentina Tanni, «Oggi invece ci troviamo di fronte una vasta massa di creatori che semplicemente non si riconoscono nella figura dell’«artista», professionista o amatore che sia, e che producono immagini, opere e progetti senza aspirare ad alcuno status specifico»[4]. Il meme, come ci dice Tanni, ma anche altre forme culturali digitali. Pensiamo agli NFT, alle piattaforme che contengono immagini certificate attraverso tecnologia blockchain. È davvero molto difficile affrontare questo universo con le categorie classiche dell’arte contemporanea. 

Se è sempre più complesso parlare di arte in questo mare magnum, il nuovo contesto digitale è, tuttavia, indagato da artisti/attivisti che aprono una riflessione profonda sulla nostra cultura popolare della comunicazione. I dati sono esplorati attraverso una sperimentazione tecnologica che ci porta a riflettere su un ‘nuovo abitare’, la possibilità di abitare in modo nuovo. Sono molti gli artisti che stanno lavorando su questi temi, come Salvatore Iaconesi e Oriana Persico con il progetto HER: She Loves Data. HER: She Loves Data è un centro di ricerca culturale che utilizza dati e calcolo (algoritmi complessi, intelligenza artificiale, reti, ecosistemi) per creare processi di accelerazione culturale attraverso l’arte. Altro esempio il lavoro di Carlo Zanni, che da anni porta avanti progetti di riflessione intorno alle modalità di abitare la nostra società tecnologica.

Interessante soffermarsi sull’operazione artistica di Alterazioni Video, in particolare sul concetto, ideato dal collettivo, di ‘turbo film’. I turbo film sono un vero e proprio nuovo genere cinematografico, un nuovo linguaggio composto da riprese realizzate dagli artisti stessi e spezzoni di immagini prese da Internet, «un genere cinematografico tra gli spaghetti western e il neorealismo di YouTube», per usare le loro parole. I turbo film nascono dalla rete, da una modalità di lavoro online, dovuta anche al fatto che i membri del gruppo vivono ognuno in una città diversa. Iniziano così sessioni di scambio di e-mail, messaggi, video, link, in apparenza senza filo logico, completamente svincolate dalle logiche classiche di produzione cinematografica. Da qui ha origine la produzione, completamente libera anche questa, senza logiche prestabilite, spesso coinvolgendo intere comunità, vere e proprie incursioni in cui gli artisti entrano fisicamente in contatto con luoghi, persone, oggetti reali, usando tecnologie a basso costo, il tutto mixato con immagini prese dalla rete. 

I turbo film rappresentano una risposta al flusso costante di dati in cui siamo immersi, una risposta alla ‘comunicazione popolare’ di massa, un atto che sovverte le regole del gioco attraverso processi creativi che uniscono fisicità con virtualità, fra autorialità e amatorialità: un atto che impone ancora il gesto dell’artista immerso e quasi irriconoscibile nelle logiche di immagini trovate online, nella convinzione che «L’unica avanguardia oggi è probabilmente da cercare nella mente collettiva di youtube»[5].


[1] Maurizio Vitta afferma: «La fotografia nasce così come arte industriale e di massa, ma solleva subito inquietanti interrogativi di natura estetica: rimette in discussione il concetto di autore, ridefinisce il concetto di verità, costringe il pensiero ad avventurarsi sull’infido sentiero delle immagini», in M. Vitta, Il rifiuto degli dèi. Teoria delle belle arti industriali, Einaudi, 2012, p. 14. 

[2] Creatore di una nuova psiche, come afferma Éric Sadin: «l’asservimento delle persone dovuto all’accumulazione del capitale che genera al contempo la sensazione inquietante di un aumento di controllo», in É. Sadin, Io Tiranno. La società digitale e la fine del mondo comune, trad. it. F. Bonomi, Luiss University Press, 2022, p. 20. 

[3] Sul ruolo della videoarte come luogo di sperimentazione e anticipazione segnalo S. Lischi, La lezione della videoarte. Sguardi e percorsi, Carocci, 2019; M.M. Gazzano, Kinema. Il cinema sulle tracce del cinema. Dal film alle arti elettroniche, andata e ritorno, Exorma, 2012. Segnalo inoltre Videoarte in Italia. Il video rende felici, a cura di C. Saba, V. Valentini, catalogo della mostra, Treccani, 2022. 

[4] V. Tanni, Memestetica. Il settembre eterno dell’arte, Nero, 2020.

[5] Dall’intervista di L. Tozzi ad Alterazioni Video su «Zero Magazine», 17 febbraio 2016, <https://zero.eu/en/persone/alterazioni-video-turbointervista/>.