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Per vie informali.
Un possibile stradario di Eugenio Tibaldi

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Le strade sono quelle dell’hinterland napoletano: nel 2000 Eugenio Tibaldi ne fa una scelta di vita, in quanto «luogo più plastico e mobile d’Italia»[1]. Le strade sono vissute dall’autore, che ne raffigura il sistema di segni apparentemente impazziti: cartelloni pubblicitari, cartelli stradali, scheletri di palazzi incompiuti (isolati in fotografia tramite campiture bianche o liricizzati con l’acquerello in grisaille) un paesaggio del margine che l’artista elegge a proprio orizzonte di ricerca (Landscapes, 2003-2005). Le dinamiche sociali, economiche, politiche che governano questi spazi assumono centralità nella sua investigazione, estesa presto a diversi contesti globali.

La strada – per essere più precisi, l’autostrada – è quella che collega Il Cairo ad Alessandria, in Egitto: è lunga circa trecento chilometri e attraversa il deserto. L’artista compie più volte il «viaggio fra due città divise da un nulla che si carica di meccanismi formali e informali»[2]: i primi rappresentati dai grandi cartelloni pubblicitari ai bordi della carreggiata, con le loro promesse di consumo; i secondi incarnati dai venditori ambulanti di beni e servizi (dalle arance al cambio gomme). Questa tensione è documentata da una fotografia agile e impassibile, che non nasconde il proprio punto di osservazione in movimento (Cairo-Alessandria. Go and Way, 2000).

Le strade sono ancora quelle dell’hinterland napoletano: attraverso una visione aerea, sono tracciate su vari supporti (a parete, a pavimento, su lastre di onice). Le aree descritte sono quelle dell’abuso permanente (Geografia economica, 2006-2007). Ribaltando la nozione di ‘non luogo’ canonizzata da Marc Augé, Tibaldi teorizza l’esistenza di quello che definisce ‘superluogo’, «ovvero un’area in cui la tempesta visiva e la mancanza di un’organizzazione superiore genera una tempesta estetica e visiva in grado di creare nuove possibilità»[3].

La strada è quella che passa sul ponte di Galata a Istanbul: simbolico collegamento fra la zona storica e quella moderna della città, è affollata di pescatori il cui raccolto alimenta la fiorente ristorazione della megalopoli turca. L’artista studia il funzionamento di questo microsistema economico per poi realizzare uno ‘sgabello informale’ che, in armonia con l’architettura del ponte, offre ai pescatori sostegno fisico nel corso della loro attività (My Personal Bridge, 2007-2008).

Le strade sono quelle di diverse città del mondo: sono abitate dalle persone senza casa, che vi allestiscono i loro giacigli temporanei. Tibaldi li raccoglie attraverso la fotografia, intervenendo quindi sull’immagine per cancellarne alcune componenti, isolandone altre di proprio interesse. È uno studio su quelle che definisce «architetture minime», analizzate e classificate secondo diverse tipologie (Architetture minime, 2012 – in corso). 

Le strade sono quelle delle periferie romane: con il loro nitore, si stagliano in una serie di estese cartografie ad acquerello. In residenza presso l’American Academy a Roma, Tibaldi osserva la periferia da una postazione remota, attraverso la mediazione satellitare che ne trasforma le geometrie regolari in rappresentazione astratta (Bubo, 2013). Come osserva Tommaso Pincio: «Col senso sesto proprio degli artisti o forse grazie alla fortuna che spesso li assiste, scegliendo di tradire il suo metodo, rinunciando alla esplorazione sul campo, ET aveva colto il destino di una città dove il rapporto tra centro e periferia si esprime in un conflitto eterno tra pieno e vuoto, il vuoto che assedia il pieno, il pieno che fagocita il vuoto senza un vero bisogno fuorché quello di affermare un tracotante ideale di pienezza»[4].   

Le strade sono quelle del centro storico di Napoli: è la zona dei bassi, attraversata da gruppi di studenti in una serie di derive urbane finalizzate a raccogliere immagini di dettagli architettonici: edicole votive, porte, tubazioni di varia natura. L’artista compone queste immagini per tipologie, in grandi arazzi di carta (Questione d’appartenenza, 2015) che illustrano il carattere poroso che Walter Benjamin e Asja Lācis avevano riconosciuto nella città partenopea: «Porosità significa non solo, o non tanto, l’indolenza meridionale nell’operare, bensì piuttosto, e soprattutto, l’eterna passione per l’improvvisare»[5].   

Le strade sono quelle di Addis Abeba: praticate dall’artista nel corso di una residenza in Etiopia, sono rappresentate in una serie di tavole nelle quali immagini di piante e fiori sono sovrapposte a cartografie urbane, a comporre una sorta di ‘diario/erbario di viaggio’ che registra le interazioni fra dimensione naturale e antropica (Anthropogenic Connection, 2019-2020).   

Da questo breve itinerario nel lavoro di Eugenio Tibaldi, il tema della strada emerge come asse portante di ricerca che si dirama in diverse direzioni.

La strada come sito di osservazione/interpretazione e pratica, oggetto di un’operazione di mappatura che guida una parte rilevante delle opzioni artistiche sul tema[6].

La strada come studio, inesauribile deposito d’immagini e materiali, oggetto di prelievo e rielaborazione. L’indagine è alimentata da una pratica di esplorazione urbana che rinnova la deriva situazionista secondo una personale psicogeografia fondata su un’estetica del margine.

La strada come oggetto estetico, perché «La bellezza è nella strada» (come recita un poster del 1968): una bellezza trovata in accordo a nuovi paradigmi.

La strada come oggetto politico, spazio pubblico per antonomasia, luogo della «microfisica del potere» (Foucault) in cui si manifestano le tensioni fra economia, legalità, estetica.

Queste molteplici dimensioni s’incrociano nello stradario dispiegato nell’opera di Tibaldi, tramite il ricorso a diverse discipline che trovano nell’arte la propria sintesi e il proprio orientamento.


[1] E. Tibaldi, Statement, <http://www.eugeniotibaldi.com/it/statement> (5 luglio 2023).
[2] Id., Cairo-Alessandria, <http://www.eugeniotibaldi.com/it/progetto/cairo-alessandria> (5 luglio 2023).
[3] Id., Geografie economiche, <http://www.eugeniotibaldi.com/it/progetto/geografie-economiche> (5 luglio 2023).
[4] T. Pincio, Un ET a Roma, <http://www.eugeniotibaldi.com/it/progetto/bubo> (5 luglio 2023).
[5] W. Benjamin, A. Lācis, Napoli porosa, Dante & Descartes, 2020, p. 20.
[6] Sul mapping come operazione artistica vedi la mostra: La strada. Dove il mondo si crea (MAXXI, Roma, 2018-2019).