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Monumentalità di un’era critica
Il paesaggio italiano di Alterazioni Video

Alterazioni Video, “Note per un parco incompiuto”, 2021, courtesy Museo Nivola e Alterazioni Video

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Incompiuto può voler dire più cose: un progetto abbandonato, che non vedrà mai la sua conclusione perché non vi è più la possibilità o la volontà di proseguire. O piuttosto il contrario: la volontà programmatica di non determinare una fine, di lasciare che un’idea continui a evolvere nel tempo, come un’opera d’arte, un video, una performance. Si potrebbe dire che la ricerca di Alterazioni Video oscilli proprio tra questi due movimenti. Il primo assume la forma della documentazione, il secondo di creazione, termini che, in ogni caso, possono talvolta sovrapporsi, invertirsi, perché entrambi parte della loro ricerca artistica: la strada come luogo e il presente come tempo storico. Vent’anni di ricerche, condotte dal collettivo in tutta Italia, a partire dai luoghi abbandonati della Sicilia, hanno dato vita a un’indagine che accompagna, come un’esplorazione, il lettore tra le rovine del contemporaneo. Incompiuto: la nascita di uno stile è il primo e unico archivio dei monumenti e delle opere pubbliche incompiute italiane, un fenomeno architettonico che comprende 750 luoghi abbandonati, ritratti in migliaia di fotografie, racchiusi in un volume e numerosi progetti espositivi.

Dalle infrastrutture inconcluse documentate emerge un’estetica, una forma di ambigua identità del paesaggio italiano, ispirata al ‘non luogo’, alla politica, al fascino antico della rovina, benché moderna. Un paesaggio, come affermano i Fosbury Architecture – che ad Alterazioni Video si ispirano – ormai saturo, che, più che di nuovi edifici, necessiterebbe di una continua ricostruzione; un paesaggio che fa parte del nostro immaginario urbanistico ma anche culturale, sotto forma di ruderi memori di opportunità inespresse.

Ma Alterazioni Video, collettivo nato nel 2004 da Paololuca Barbieri Marchi, Alberto Caffarelli, Matteo Erenbourg, Andrea Masu e Giacomo Porfiri, è anche altro. È una chat di conversazione lunga centinaia di metri, ad esempio, materializzazione su wall papers del loro archivio di scambi dalle quattro città in cui vivono, sotto il nome di ‘Violent Attitude’. Una carica ipercinetica, come loro stessi la descrivono, che trova espressione nelle opere, in particolare nei video, a cavallo tra performance, live show e fiction. Una maniera di cogliere ed esprimere i sentimenti e i pensieri di un momento, se non di un’epoca, una generazione, senza preoccuparsi della scelta formale del medium artistico. È qui che si esprime l’altra matrice dell’incompiutezza, quella propositiva, dinamica e irrefrenabile dove il film è un mezzo senza fine, un’opera senza sceneggiatura, uno scenario di realtà e finzione che si intreccia con il live stream, dove la scritta ‘the end’ non è prevista. Un ascolto dal basso; Turbo Film, serie in progress nata nel 2008, è un genere artistico-cinematografico performativo, che impedisce di capire se ciò che vediamo è frutto della regia o dell’improvvisazione. Trovandosi a operare in decenni sempre più rapidi e caotici, gli artisti devono mettere i linguaggi in condizione di evolvere per continuare a parlare al presente e, in questo senso, la serie costituisce senza dubbio una sfida al genere. Di fronte a una realtà già rifratta in mille riflessi, l’opera difficilmente si può offrire intatta, finita, conclusa. I Turbo Film aprono così una piccola finestra sull’inconscio plasmato da questi anni convulsi, grazie alla capacità narrativa del ‘qui e ora’ proprio del ‘neorealismo’ di YouTube e del live, al contempo serio, autoironico e delirante. Una performance studiata all’interno di riprese del tutto non studiate. Una pièce, un flusso di coscienza.

Alterazioni Video è un coro di voci che esclama, ad alta voce, altre volte silenziosamente, i dubbi e gli spettri che attraversano i nostri anni, tra pensiero pubblico e spazio privato. In piena pandemia di COVID-19, il collettivo ha realizzato I numeri non vengono chiamati in ordine numerico, un video girato dal vivo e montato in remoto (e infine in tempo reale) durante una performance negli spazi vuoti della Triennale di Milano. Un’opera che, difficile da tradurre a parole, ha messo in atto il desiderio di riempire i tanti spazi fisici vuoti da menti allora sovraffollate di pensieri. Mesi di immagini e contenuti fagocitati dalla rete sono stati riversati nei corridoi bui del museo, risvegliati da personaggi fisici allucinatori che vagavano dicendo frasi e citazioni, come sfogando un’eccessiva saturazione. A essere messa in atto è stata l’ambiguità tra spazio pubblico e privato, studio e museo. Cos’è pubblico, cos’è privato? In quel momento, tutto è sembrato uguale e indistinguibile: cosa era reale, cosa virtuale nella performance in diretta?

Proprio dalla rete sono invece confluiti, durante la Biennale di Venezia del 2019, venti performer, con i propri spettacoli, selezionati dai social media di tutto il mondo, scelti dagli artisti e invitati per tre giorni a partecipare a The New Circus Event, allestito tra le strade della città, di fronte a Fondazione V-A-C. Riflettendo sull’epoca in cui gli spettacoli circensi erano eventi festosi, anarchici e imprevedibili, il collettivo ha pensato di riproporre l’idea di circo, rielaborandola nella cornice della cultura visiva contemporanea. Il palinsesto si è mosso intorno ai principi di spontaneità, teatralità e caos, elementi che contraddistinguono tanto il circo quanto il web, attraverso il quale sono stati scelti gli attori. Un progetto che ha espresso un’idea di comunità nella differenza, oltre che di uguaglianza nel e di fronte all’atto, di «abbondanza, libertà, divertimento per tutti, ricchi e poveri».