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Là fuori
La strada e lo spazio pubblico nella poetica di Lara Favaretto

Lara Favaretto, Momentary Monument. The Stone, 2016, veduta dell’installazioneWelsh Streets, Liverpool Biennial, foto Mark McNulty

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Molteplici sono le angolature dalle quali è possibile osservare l’ampio rapporto fra la poetica di Lara Favaretto (Treviso 1973) e il tema della strada nelle diverse forme di relazione fra opera e spazio pubblico. Un primo approccio, prettamente oggettuale, può delinearsi a partire dall’analisi di alcuni lavori in cui Favaretto ha utilizzato materiali provenienti dal contesto dalla strada, la cui funzione specifica viene riconfigurata e resa fallimentare nel passaggio dallo spazio aperto a quello chiuso. Faccio riferimento a installazioni come Painlessly Consumed realizzata nel 2010 negli spazi della Galleria Franco Noero di Torino, dove l’artista ha creato una fitta foresta costruita da tubi Innocenti con innesti di fili di lana in pressione fra il pavimento e il soffitto che, invadendo verticalmente lo spazio, non ne consente l’attraversamento, limitando l’osservazione dell’opera dalla vetrina fronte strada. Normalmente utilizzati nei lavori di ristrutturazione, i tubi Innocenti sono suggeriti all’artista dal paesaggio urbano del Rajasthan, che l’artista fotografa e archivia, dov’è comune l’uso di precari ma funzionali ponteggi in legno per la costruzione di edifici. Protagonista dell’opera Son Coup de Coeur del 2013, e di altre installazioni similari, è invece una pesante lastra di ferro utilizzata per coprire scavi e buchi durante dei lavori stradali. L’opera si completa, come fosse una lotta ingaggiata fra i due materiali, con una stoffa di seta rossa posizionata sotto la placca e visibile da forature. In entrambi i lavori, Lara Favaretto utilizza ready-made in cui rimane traccia evidente dell’usura, dell’azione degli agenti atmosferici e del passaggio in strada, precedente alla loro decontestualizzazione e all’annullamento della loro razionalità ed efficienza. Una seconda interpretazione relativa al rapporto fra le opere di Favaretto e lo spazio pubblico si riferisce all’attitudine all’oblio e al conseguente dissipamento dell’opera: la precarietà, la meccanica dell’attrito, la smaterializzazione e la conseguente e inesorabile distruzione dell’oggetto-opera attraversano la poetica dell’artista e, in molti casi, la materia nel suo frantumarsi torna a intercettare la strada da cui proviene. In Confetti Canyon, del 2001, dei cannoni artigianali sparano coriandoli all’esterno della sede espositiva operando una vera e propria diaspora del materiale in strada. In Thinking Head, presentata alla Biennale di Venezia nel 2019, Favaretto inonda l’ingresso del Padiglione Centrale dei Giardini di una coltre di nebbia, operando un livellamento fisico, politico e percettivo fra la sede istituzionale e lo spazio pubblico circostante. In Library, del 2012, attrezza un’intera parete del MoMA PS1 con una libreria su cui pone duemiladuecento libri salvati dal macero, ponendo all’interno di ciascuno di essi un’immagine proveniente dal suo archivio. I libri, vivificati e modificati dalla presenza del documento, sono a disposizione del pubblico che può portarli via, rimettendo così in circolo l’oggetto e facendone perdere le tracce. Un terzo approccio possibile per leggere il dialogo che sussiste fra le opere di Favaretto e la strada va ricercato in Momentary Monument, ampio progetto in corso che si sviluppa in luoghi, momenti e forme molteplici. In essoil legame con il contesto urbano procede per scavi e costruzioni, si dipana nel sottosuolo, svetta nella verticalità o si diluisce nell’orizzontalità dello spazio pubblico. Fra i lavori che forgiano la costellazione dei Momentary Monument troviamo il progetto Digging Up. Atlas of the Blank Histories,realizzato per la prima volta a Kabul per dOCUMENTA (13), poi ampliato nel 2017 in Cappadocia e, infine, riconfigurato per il programma Pompei Commitment attorno all’area dei paesi vesuviani. Il progetto mette in relazione tecniche di analisi stratigrafiche dei sottosuoli con memorie provenienti da racconti scritti e orali delle comunità residenti, tessendo una relazione fra l’emersione del ricordo personale e la sua autodeterminazione storica. Attraverso la tecnica del carotaggio, l’artista scava in alcuni territori individuati dai residenti come ‘luoghi di memorie’ per poi conservarne i sedimenti in capsule del tempo che, nuovamente sotterrati, potranno essere recuperati solo allo scadere di un preciso numero di anni. Se in Digging Up. Atlas of the Blank Histories la strada come luogo attraversato dall’esperienza del singolo s’intreccia con una nuova temporalità, in Momentary Monument – the Wall del 2019 l’artista concepisce l’opera nel e per il contesto pubblico, costruendo una cortina di sacchi di sabbia intorno al monumento dedicato a Dante Alighieri nella città di Trento. Attraverso un duplice gesto di protezione e di mascheramento, Favaretto riscrive la percezione dello spazio urbano per coloro che quotidianamente attraversano la piazza. Altre forme di ripensamento dello spazio pubblico, in grado di disturbare lo sguardo, le ritroviamo in opere come Momentary Monument – The Dump realizzata a Kassel nel 2012 e in Momentary Monument – The Swamp un’installazione ambientale concepita per gli spazi aperti dell’Arsenale di Venezia nel 2009. Un cumulo di macerie ferrose industriali provenienti da discariche locali il primo, la ricostruzione di una vera palude il secondo, questi lavori rappresentano dei monumenti destinati alla sparizione e alla decomposizione; temporanei nel loro essere collocati sul suolo pubblico ed eversivi nel loro essere promotori di diverse forme d’interpretazione della contingenza. Appartenenti alla serie dei monumenti temporanei sono anche i Momentary Monument – The Stone, presentati in varie occasioni espositive come la Biennale di Liverpool nel 2016 e lo Skulptur Projekte nel 2017: posizionati dall’artista nello spazio urbano, questi blocchi monolitici in pietra, muniti di una fessura, diventano dei salvadanai pubblici destinati a essere distrutti per recuperare il denaro offerto. Le polveri derivate dalla distruzione delle pesanti pietre vengono poi riutilizzate come materiale per costruzioni, tornando ancora una volta nelle strade.