Cerca
Close this search box.

La storia dell’arte del XXI secolo all’università
Un dialogo a più voci sulle pratiche attuali e gli obiettivi futuri

Pascale Marthine Tayou, Coloris, 2018, courtesy ArtLine Milano, foto Alberto Fanelli

Questo articolo è disponibile anche in: English

Nell’ambito delle attività del progetto Network inter-universitario, promosso dal marzo 2022 dalla Fondazione La Quadriennale di Roma, è stato avviato un censimento delle ricerche di dottorato in corso, dedicate in modo specifico alle arti visive in Italia nel XXI secolo. L’esito della mappatura, come in parte era nelle attese, fotografa una realtà che fatica ad aprirsi alla contemporaneità più stringente: solo quattro dottorandi, attualmente, risultano infatti impegnati in progetti di ricerca inerenti alle vicende artistiche italiane degli ultimi vent’anni[1]. Il quadro è più ricco se si allarga il raggio di analisi anche alle ricerche di dottorandi e dottorande che lavorano sull’arte italiana degli anni Novanta e sul contesto artistico internazionale[2]. Ciononostante, a oggi, il panorama degli studi storico-artistici condotti durante il terzo ciclo di formazione denota una scarsa attenzione nei confronti del presente. Le ragioni sono molteplici. La carenza di borse di dottorato, colmata solo in minima parte dai fondi PNRR, resta uno dei fattori che, a mio avviso, incidono in maniera più decisiva. A questo, tuttavia, si somma un più generale scollamento tra gli insegnamenti universitari e le pratiche artistiche attuali, seguite dalla critica militante, nonché le difficoltà relative alla possibilità di prendere in esame vicende in fieri o legate a un passato recentissimo, ancora da storicizzare, nell’attuale scenario caratterizzato dalla polverizzazione delle storie dell’arte, dall’allargamento dei confini geografici e culturali, dalla crisi degli steccati disciplinari e, non da ultimo, dai cambiamenti prodotti dalla svolta digitale. Pensando al futuro dell’università italiana, a partire dall’angolazione specifica della storia dell’arte contemporanea, credo che occorra interrogarsi su questa disaffezione nei confronti del presente, per provare a correggere il tiro e incentivare percorsi virtuosi in grado di favorire la ricerca sull’oggi, base indispensabile per immaginare e progettare il domani. A tale proposito ho raccolto le riflessioni di alcuni colleghi e colleghe, particolarmente sensibili alla questione, e con alle spalle più anni di insegnamento di me, che hanno generosamente condiviso le loro esperienze sul campo, suggerendo possibili strade da percorrere. Dal dialogo sono emersi alcuni punti comuni, legati soprattutto al ruolo della didattica e al rapporto con le istituzioni pubbliche e private attive in Italia nel settore dell’arte contemporanea. Rafforzare o creare ex novo collaborazioni tra università, fondazioni e musei operanti sul territorio è tra le prime questioni sollevate da Roberto Pinto, professore presso l’Università di Bologna, curatore di mostre e progetti di arte pubblica tra cui ArtLine Milano – Parco d’Arte Contemporanea[3], progetto tuttora in corso, promosso dal Comune di Milano e pensato per dare vita a una collezione di opere d’arte all’aperto, nel parco pubblico di CityLife, con il coinvolgimento di numerosi artisti italiani e internazionali: Riccardo Benassi, Rossella Biscotti, Linda Fregni Nagler, Shilpa Gupta, Adelita Husni-Bey, Wilfredo Prieto, Matteo Rubbi, Serena Vestrucci, Judith Hopf e Pascale Marthine Tayou. La familiarità con gli artisti, frutto di un contatto quasi quotidiano, consolidatosi negli anni, si riflette nella pratica didattica di Pinto: tra le recenti attività da lui sostenute, va ricordato il workshop dottorale La fine e altri inizi[4](2022), curato insieme a Daniel Borselli e Arianna Casarini, grazie al quale si è creato un interessante spazio di discussione per i dottorandi e le dottorande impegnati nello studio dell’arte dal 1990 in poi.

La necessità di stabilire una ramificata rete di rapporti con le istituzioni attive nel territorio è al cuore anche delle riflessioni di Giorgio Bacci, docente all’Università degli Studi di Firenze, che ha sottolineato l’importanza di mettere in dialogo con l’esterno gli studenti e le studentesse già a partire dalle lauree triennali e magistrali. A tale scopo, il corso di Storia dell’arte contemporanea (metodologie, strumenti e pratiche), da lui tenuto nella laurea magistrale in Storia dell’arte ha come scopo dichiarato, quello «di rendere studentesse e studenti parte attiva del sistema del contemporaneo, portandoli a sviluppare capacità di intervento tramite la messa in pratica degli strumenti critici e storico-artistici appresi sui banchi della teoria metodologica. Da qui nasce la specifica del corso, “metodologie, strumenti e pratiche”, volta a sottolineare la volontà di mettere in proficuo dialogo i settori della ricerca accademica, della formazione museale e della divulgazione per un ampio pubblico. Per raggiungere questo obiettivo, nel caso fiorentino sono state siglate apposite convenzioni con biblioteche, musei, associazioni e centri di arte contemporanea, che in vari periodi dell’anno ospitano gli studenti all’interno delle proprie strutture, permettendo loro di interagire con curatori, allestitori, esperti di comunicazione, ricercatori e naturalmente artisti, diventando protagonisti dei progetti cui prendono parte. In tal modo, si avvia un percorso virtuoso che consente ai ragazzi di sperimentare sul campo la modulazione di un cannocchiale storico-critico che mette in prospettiva la storia del recente passato con le sperimentazioni artistiche dell’attualità, cogliendo le novità che nascono proprio nelle maglie del confronto, affiancando l’inquadratura orientata della mostra allo sguardo esterno del museo. Chiaramente, l’articolazione del corso riflette l’impostazione sperimentale, abbinando una parte teorica, con lezioni frontali dedicate ai grandi temi dell’arte attuale (ultimi venti e trent’anni) e incontri con artisti, a una parte pratica, che valorizza il lavoro extra-curriculare svolto da studentesse e studenti, invitati a presentare, durante l’orario delle lezioni ma presso le istituzioni ospitanti, le attività svolte durante l’anno»[5].

Ospitare gli artisti e le artiste durante le lezioni è una prassi consolidata anche alla Sapienza Università di Roma, dove già ai tempi di Maurizio Calvesi, Nello Ponente, Marisa Volpi, e poi di Marisa Dalai Emiliani, Simonetta Lux e Silvia Bordini (sperando di non scordare nessuno), le opportunità in questo senso erano frequenti. Tuttora i seminari con gli artisti sono uno strumento essenziale nella didattica, e talvolta offrono occasioni importanti per riflettere sul futuro non soltanto dell’arte, ma anche dell’insegnamento. È questo il caso ricordato da Antonella Sbrilli, docente di Storia dell’arte contemporanea della Sapienza: «In un seminario di qualche anno fa, gli artisti/ricercatori Oriana Persico e Salvatore Iaconesi (scomparso prematuramente nel 2022) ─ che insieme hanno composto il gruppo Art is Open Source ─ invitavano i partecipanti a immaginare un oggetto o una situazione in un futuro prossimo, due anni, cinque anni, otto anni in avanti. Lo stesso esercizio si può fare con un corso di storia dell’arte contemporanea, considerando che ogni anno accademico qualcosa cambia: l’equilibrio tra lezioni in presenza e online; le lingue madri di studenti e studentesse che vengono da varie parti del mondo; l’attitudine verso i testi proposti da studiare; il tipo di distanza fra le conoscenze pregresse di chi insegna e di chi impara; la quantità di informazioni sull’arte contemporanea, che arrivano anche a lezione sui dispositivi mobili; il modo di verificare lo studio e la preparazione. In che modo tutti questi elementi stanno lavorando per dare forma a prossimi corsi di storia dell’arte contemporanea, a prossimi docenti e studenti, a prossime interazioni e relazioni? La mia risposta è un misto di esperienze in corso (alcune già avviate) e di sviluppi possibili, da perseguire: allestire nuovi tipi di manuali multimediali, open access, connessi alle risorse di musei e istituzioni; invitare nei corsi artisti in residenza ‘didattica’ con cui progettare laboratori e analisi di opere; sperimentare e praticare nuove forme di valutazione delle conoscenze acquisite; aprire a connessioni con discipline in risonanza; lavorare su simulazioni di attività connesse con le competenze storico-artistiche»[6].

Le riflessioni di Antonella Sbrilli e degli altri docenti disponibili a questo confronto toccano temi ampi e ci spingono a fare i conti con la necessità di sperimentare pratiche didattiche innovative, attraverso le quali guardare al presente, nelle sue varie articolazioni, anche digitali, per provare a immaginare il futuro. Pratiche didattiche che mettano al centro la relazione, sempre mutevole, tra chi insegna e chi apprende, e in grado di valorizzare le differenze di studenti e studentesse provenienti, oggi più di ieri, da varie regioni del mondo.


[1] Le sinossi delle ricerche di dottorato in corso sono consultabili sul sito della Quadriennale di Roma, nella pagina dedicata al progetto Network inter-universitario: <https://quadriennalediroma.org/network-inter-universitario/> (20 aprile 2023).
[2] A tale proposito si veda il programma del workshop dottorale La fine e altri inizi. Workshop dottorale sull’arte dal 1990, a cura di Roberto Pinto, Daniel Borselli, Arianna Casarini, Università di Bologna, 8-9 settembre 2022: <https://site.unibo.it/damslab/it/eventi/la-fine-e-altri-inizi-workshop-dottorale-sull-arte-dal-1990 > (25 aprile 2023).
[3] Il team curatoriale del progetto, avviato nel 2014, è composto attualmente da Roberto Pinto, Katia Anguelova, Mariacristina Ferraioli e Cecilia Guida: <https://www.google.com/search?client=firefox-b-d&q=ArtLine+Milano> (22 aprile 2023).
[4] Si rimanda alla nota 2.
[5] Conversazione e scambio email con Giorgio Bacci avvenuti tra il 10 e il 19 aprile 2023.
[6] Conversazione e scambio email con Antonella Sbrilli avvenuti tra il 7 e il 13 aprile 2023.