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Il museo che verrà
Presente e futuro del museo d’arte contemporanea

Frank Gehry, Guggenheim Bilbao, 1997

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Il museo, tra le sue caratteristiche, ha quella di essere un prezioso strumento di comprensione della nostra società. Leggerne la storia in un dato contesto è osservare a fondo i cambiamenti e i valori che sono intercorsi, ciò che è stato ed è ritenuto di importanza tale da essere sottratto al tempo della vita per una fruizione presente e futura. Di per sé, dunque, il museo è uno strumento di immaginazione e di creazione del futuro, che si fa monumento di quanto si decide di tramandare ai posteri. È naturale, dunque, che questo organismo complesso muti nel tempo, e anche in modo considerevole, dal momento che esso sostiene e incarna i nuovi paradigmi della società. Dalle wunderkammer e kunstkammer, esaltazione dello status del collezionista, passando per i veri e propri musei di Ottocento e Novecento, definiti ‘strumenti dell’imperialismo’, i musei hanno mutato sostanzialmente la propria natura, soprattutto nel corso degli anni Settanta, quando da ‘templi’ si sono trasformati in ‘forum’[1]. A partire da questo periodo, in effetti, il museo rompe le proprie barriere concettuali e diviene centro polifunzionale, piazza, luogo di socialità e anche di consumo, assumendo una conformazione poi portata agli estremi negli anni Novanta mediante il cosiddetto ‘ipermuseo’, dove il contenitore si fonde nel contenuto. Nello stesso momento si affermano i musei-scultura o ‘archisculture’ (di cui il Guggenheim di Bilbao rimane caso-studio più eclatante), veri e propri landmark cittadini, capaci di attrarre anche grandi flussi turistici. Il dibattito sul museo in generale, su che cosa sia e cosa dovrebbe essere nel presente e nel futuro, è vivace e coinvolge sempre più tematiche. Si pensi alle discussioni avviate da ICOM (International Council of Museums) intorno alla sua definizione:seguire l’evoluzione di quest’ultima, dalla creazione nel 1946 a oggi, consente di osservare il perimetro entro il quale si muove l’istituzione. Per tentare di capire che cosa sarà il museo del futuro, dobbiamo dunque partire proprio da qui. Il 24 agosto 2022, nell’ambito dell’assemblea generale straordinaria di ICOM a Praga, è stata infatti approvata una nuova definizione, frutto di un lungo processo partecipativo che ha coinvolto centoventisei comitati nel mondo e ha sostituito quella dello Statuto ICOM approvato a Vienna nel 2007: «Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze».

Rispetto alla definizione del 2007, vengono compresi termini quali accessibilità e inclusività, diversità e sostenibilità e si fa riferimento esplicito al museo come luogo votato alla condivisione di conoscenze. Il tema della sostenibilità – intesa in senso ampio, secondo i goal dell’Agenda ONU 2030 – è un argomento centrale anche e soprattutto per le istituzioni d’arte contemporanea, da sempre vigili e in prima linea rispetto alle questioni più urgenti del presente. Lo sviluppo sostenibile è sempre stato, di fatto, parte integrante dei loro programmi, proprio perché rivolti alle pratiche artistiche in corso, che spesso intercettano e fanno proprie questioni sociali e antropologiche al fine di aderire alla realtà della vita corrente e futura. Il macrotema della formazione, così come le questioni riguardanti l’inclusione, la parità di genere, la lotta alle discriminazioni, l’attenzione alle questioni ambientali, le città sostenibili: sono tutti argomenti affrontati dai musei così come dal lavoro di molti artisti contemporanei, le cui mostre e opere vengono veicolate attraverso essi. In questi anni, inoltre, si registrano diverse esperienze di artisti che curano programmi in musei di altre tipologie, come quelli dedicati alle scienze: al MUSE di Trento, per esempio, è in corso da due anni We Are the Flood, un programma curato dall’artista Stefano Cagol[2] che, tra arte e scienza, approfondisce il tema dell’emergenza climatica.

In linea generale, chiaramente, si può affermare che il museo sia luogo della ‘meraviglia’, e in effetti il museo d’arte contemporanea lo è sempre stato: è forse su tale dimensione che si potrebbe insistere per incrementarne l’attrattiva. Lo ‘spazio dell’eccezione’ che quest’ultimo offre (un luogo altro rispetto a quello della vita) è da cogliere come opportunità per creare una curiosità nel pubblico, soprattutto quello giovane, che divenga motore di conoscenza e consapevolezza. Le sezioni e l’offerta specificamente dedicate ai più piccoli, di cui fornisce un esempio il Louvre di Abu Dhabi, necessitano di centralità, al fine di creare una relazione che duri nel tempo, che formi adulti consapevoli delle possibilità offerte dalla frequentazione dei musei, sia sul piano della vita quotidiana individuale che comunitaria. Istituzioni di natura differente da quella artistica, come il MUCEM di Marsiglia, raccontano poi della capacità del museo di farsi luogo ‘della narrazione’ più che ‘dell’oggetto’. Occorre implementare, anche grazie all’ausilio di strumenti digitali, la capacità di narrare le molteplici storie che fanno di quest’ultimo un’opera d’arte, depositaria di valori tali da determinarne la conservazione e la valorizzazione in una collezione museale. Proprio sulla questione delle tecnologie digitali, il periodo pandemico se, da un lato, ha evidenziato l’enorme ritardo dei musei italiani, dall’altro ha accelerato l’uso di alcune di esse, sottolineando come la distinzione tra una dimensione online e in presenza sia in realtà poco rilevante, dal momento che in entrambi i casi ci si riferisce a un unico ecosistema istituzionale[3]. Si tratta di un uso del digitale a doppio canale: per la comunicazione e la valorizzazione del museo da un lato e per l’ascolto e la partecipazione dell’altro. Anche le definizioni di ICOM mostrano come il focus si sia sempre più spostato da un’attenzione alla collezione a una dimensione maggiormente contestuale. Nel 2006 l’economista della cultura Pier Luigi Sacco parlava del ‘museo attivatore’, intendendo per esso un’istituzione che pratica una politica culturale volta al coinvolgimento di tutti i soggetti attivi sul territorio e che adotta strategie di consolidamento sul territorio. E, già dieci anni fa, lo stesso Sacco evidenziava il paradigma della ‘cultura 3.0’, distinguendolo dal modello di ‘cultura 1.0’, fondato sul mecenatismo di Stato e il sostegno di un cerchio ristretto di personalità, e dal 2.0, identificabile nell’industria culturale, cioè una macchina di intrattenimento che mira ad avvicinarsi al pubblico.

La ‘cultura 3.0’ vede evolvere il concetto da intrattenimento a precondizione per qualsiasi aspetto della vita quotidiana, che produce valore in tutte le sfere della produzione economica e della socialità; la cultura diviene una sorta di welfare sociale. I musei si inseriscono nella vita della città, diventano abitati: le politiche museali devono diventare politiche di coesione sociale, di competitività e di benessere[4]. La sfida, oggi e domani, è dunque prioritariamente quella di far comprendere, in primo luogo agli amministratori locali, quanto i musei siano luoghi in cui investire, servizi essenziali e non accessori nella vita di una comunità (al contrario di ciò che è passato durante la pandemia da COVID-19), centri propulsori e connettori di realtà culturali, artistiche ed extra-artistiche diffuse sul territorio. Quest’ultimo punto è fondamentale per il loro futuro dal momento che il museo è in effetti baricentro di due spazi: uno fisico, che equivale al territorio nel quale sorge, e uno intangibile, che corrisponde a quello della produzione artistica. Per entrambi, è chiamato a un ruolo di grande responsabilità e, come recita la definizione ICOM, di professionalità, caratteristica non a caso imprescindibile per il riconoscimento museale regionale. Promuovere una rete di relazioni tra soggetti dell’arte quali associazioni, fondazioni, editori, mecenati, collezionisti, scuole e luoghi di formazione ma anche imprese, artigiani, e il tessuto produttivo del territorio, non può che essere la direzione verso cui il museo deve muoversi in maniera prioritaria. Se il museo del futuro intende calarsi nel vivo della società, deve necessariamente porsi sempre più come connettore di diverse realtà, per favorire un’azione sinergica che individui obiettivi comuni nella differenza di ogni soggetto. Lo stesso vale per la dimensione del confronto nazionale nel sistema dell’arte: è in questo senso emblematica la rete AMACI, capace di organizzare occasioni di confronto, studio e valorizzazione di rete (come la Giornata del contemporaneo) per tutti i musei e luoghi di produzione e valorizzazione dell’arte. L’ultima, in ordine di tempo, è la giornata di studi intitolata I musei d’arte contemporanea e lo sviluppo sostenibile: una pratica necessaria, che si è svolta online il 31 marzo 2023, dedicata al ruolo fondamentale delle istituzioni museali rispetto alle urgenze della società.

È impossibile dare oggi una formula vincente per il museo del futuro; non possiamo sapere che cosa i nostri figli indicheranno come propri valori. Possiamo ipotizzare, però, delle dinamiche, seguendo la traiettoria delineata dall’evoluzione della definizione di ICOM: l’attenzione è sempre più posta sulla relazione, su una dimensione dinamica del museo, inteso come centro propulsore della società, attivatore di processi, connettore di realtà, di disseminazioni nel territorio, valorizzatore di differenze e luogo di inclusività. La natura stessa del museo d’arte contemporanea è sempre stata complessa e per certi versi contraddittoria, data la relazione con artisti viventi e oggetti non (ancora) storicizzati, che le permettono di concorrere alla creazione di nuovi valori nel momento stesso in cui colleziona opere e produce mostre. Con questa natura ibrida, atipica, il museo d’arte contemporanea dovrà fare sempre i conti: l’elemento della responsabilità unito a quello della professionalità risulta dunque imprescindibile, così come quello dell’autonomia dalla politica, argomento complesso soprattutto quando si tratta di musei civici. Un museo d’arte che voglia essere davvero contemporaneo e ‘futuro’, in un territorio come quello italiano così ricco di differenze, dovrà inevitabilmente puntare a non omologarsi e contestualmente a programmare in sinergia con gli altri musei e realtà artistiche a livello nazionale e internazionale. Questa è anche la direzione suggerita dal bando ministeriale Italian Council, che premia non solo i progetti artistici presentati da musei o istituzioni d’arte contemporanea, ma anche la capacità di costruire reti nazionali e internazionali. In quest’ottica sarebbe utile se, proprio in virtù delle sue specificità, ICOM costituisse un comitato internazionale sul museo d’arte contemporanea, in modo tale da aprire un confronto a livello globale.


[1] Modello, quest’ultimo, incarnato dal Centre Pompidou di Parigi.
[2] We Are the Flood. Il progetto di un museo scientifico per affrontare la crisi ambientale attraverso l’arte contemporanea, a cura di S. Cagol, Postmedia, 2023.
[3] M.E. Colombo, Musei e cultura digitale. Fra narrativa, pratiche e testimonianze, Editrice Bibliografica, 2020.
[4] P.L. Sacco, Produrre l’arte contemporanea in periodi di crisi. Problemi e opportunità, in Come sarà il museo del futuro? Lezioni di museografia contemporanea, a cura di M. Guccione, MAXXI, Roma 2012.