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La pedagogia nella pratica artistica
Una prospettiva sulla scena italiana contemporanea

Valerio Rocco Orlando, I fondamentali, 2021, scultura di luce al neon bianco, 20 x 310 cm, courtesy l’artista e Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato

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La pedagogia come parte del processo di ideazione, creazione e formalizzazione del progetto, si ritrova oggi in numerose opere di artisti italiani che generalmente si dedicano a pratiche community based. Ma gli artisti per cui, in maniera sistematica, il progetto pedagogico risulta essere parte integrante e sostanziale dell’opera non sono molti. In questo articolo ne indichiamo alcuni, nati tra gli anni Settanta e Ottanta, le cui pratiche, pur mostrando differenze rilevanti, sembrano essere accomunate da alcune caratteristiche: la cooperazione con una comunità locale o temporanea che si affianca all’artista anche nella dimensione autoriale, la definizione collettiva dei contenuti e l’incidenza della comunità nell’estetica della fase laboratoriale così come, in misura diversa da artista ad artista e da opera a opera, dell’eventuale formalizzazione finale[1].

«La didattica impone cosa devi pensare, come se tu fossi un bambino a cui si dice in quale forma collocare un cubetto di legno; mentre la pedagogia è un processo dove vengono messe a disposizione alcune forme, dando però la libertà di metterle insieme come si desidera». Questa nota di Adelita Husni-Bey (Milano, 1985) inquadra la pratica pedagogica, applicata regolarmente nel suo lavoro. I suoi progetti si compongono di tre fasi: la ricerca, il laboratorio inteso come momento di interazione collettiva che invita al pensiero critico, e la postproduzione, che spesso consiste nella realizzazione di un video. «Cerco di applicare una pedagogia di decolonizzazione della mente e del corpo dall’essere un soggetto liberale, cresciuto in una società capitalista, che lo induce ad accettare passivamente condizioni sociali sempre peggiori. L’arte così ottenuta mette in luce come tali condizioni siano anche una nostra responsabilità»[2].

Processo e formalizzazione sono in equilibrio anche nel lavoro che Marinella Senatore (Cava de’ Tirreni, 1977) porta avanti dal 2013 con The School of Narrative Dance. Il progetto fa leva sull’autoformazione, attuata mediante azioni che uniscono forme di resistenza, cultura popolare, danza, musica ed eventi di massa. La scuola, descritta come multidisciplinare, nomade e gratuita, finora ha coinvolto circa sei milioni di persone in ventitré Paesi, tra attivisti, danzatori, coreografi, attori, poeti, studenti, artigiani, pensionati e politici che condividono i propri saperi in maniera orizzontale. Il metodo didattico, basato sull’emancipazione, l’inclusione e l’autoformazione, dà vita a una creazione collettiva che si formalizza in performance pubbliche basate sull’estetica delle processioni e delle feste di paese, nonché in video, disegni e opere su carta destinati ai contesti espositivi.

Si occupano da anni di un tema controverso, quello della sostenibilità relativa all’essere contemporaneamente artiste e madri, Francesca Grossi e Vera Maglioni (Roma, 1982) che con il nome di Grossi Maglioni, dal 2006, conducono workshop spesso pensati per sostituirsi alla produzione artistica di carattere oggettuale. I prodotti del laboratorio, come ad esempio i disegni dei partecipanti, non vengono mai considerati come opere a sé stanti. Come anticipato, il duo esplora la condizione dell’essere donna, madre e artista nella società attuale a partire dalla propria esperienza e intessendo dialoghi con gruppi di madri e bambini nel corso di incontri e laboratori. Il loro ultimo lavoro, tuttora in fase di realizzazione, è frutto di una commissione di rigenerazione urbana per il quartiere Quartaccio di Roma: una piazza che sarà ridisegnata con figure fantastiche interspecie e intergender a partire dai laboratori dedicati a bambini e ragazzi. L’obiettivo è di renderla un luogo di aggregazione inclusivo attraverso l’empowerment della comunità, a cui ne sarà affidata la cura.

Di altro registro è la pratica di Eugenio Tibaldi(Alba, 1977), frutto di un incrocio tra antropologia e pedagogia applicate in misura diversa nei suoi progetti, attraverso l’indagine dei contesti e il coinvolgimento di associazioni, scuole e altre comunità. Per ogni lavoro, se è vero che l’impianto metodologico rimane invariato, la pratica tuttavia si modifica e il risultato non è mai definibile a priori. La grande opera collettiva Questione d’appartenenza (2015) è quella che, in questo contesto, meglio rappresenta la sua pratica. Al centro del progetto vi è la costruzione di una psicogeografia dei luoghi attraverso una serie di ‘derive’ situazioniste nei quartieri del centro storico di Napoli. Con il proprio cellulare, i partecipanti hanno realizzato fotografie poi riunite da Tibaldi in stampe di grandi dimensioni, intagliate e sospese, nelle quali emerge chiaramente la relazione tra la molteplicità di ambiti informali, restituendo un’immagine corale della città attraverso gli occhi dei partecipanti.

Il format è, invece, sempre lo stesso in Global Education di Giuseppe Stampone(Cluses, 1974), progetto avviato sotto il cappello di Solstizio Project, attraverso il quale, assieme a Maria Crispal, realizza azioni artistiche che sono al tempo stesso metodi didattici, collaborando con artisti, architetti, sociologi, pedagoghi, antropologi e operatori sociali. Global Education comprende i noti abecedari e mappe, creati a partire dall’analisi dei luoghi in cui l’artista opera, con l’intenzione di proporre alternative al modello educativo corrente. La scelta di lavorare sull’abecedario si spiega con il rifiuto dell’orizzonte di apprendimento istituzionale, che Stampone definisce «dittatura gutenberghiana», al fine di proporre una frammentazione dei punti di vista. Gli abecedari, realizzati dalle comunità coinvolte da Stampone, sono in questo senso esemplificazioni di come l’arte possa farsi collante sociale e dispositivo relazionale all’interno di uno stesso gruppo.

Sono parimenti socially engaged i progetti proposti dal collettivo Parasite 2.0 (Stefano Colombo, Vedano al Lambro, 1989; Eugenio Cosentino, Luino, 1989; Luca Marullo, Catania, 1989), che si muove tra progettazione architettonica, design, arte visiva e performing arts. Il fulcro del loro lavoro risiede nella cosmologia generata in virtù del progetto, spesso declinato in forum di discussione collettiva intorno al concetto di coautorialità nell’esito oggettuale. In questo senso, MAXXI Temporary School: The Museum Is a School. A School Is a Battleground, vincitore del bando YAP indetto dal MAXXI nel 2016 per la produzione di un’opera sul tema della sostenibilità, è uno degli esempi più significativi. Per sei mesi gli artisti hanno trasformato lo spazio esterno del MAXXI in una scuola sul tema dell’Antropocene, destinando metà budget all’allestimento di un ambiente e l’altra metà a un public program da svolgersi al suo interno.

Infine, un caso di particolare interesse è quello di Valerio Rocco Orlando (Milano, 1978), che utilizza con grande consapevolezza la pratica pedagogica nei suoi progetti, sempre situati in precisi contesti locali e con prospettive di lungo termine, avvalendosi della forma del workshop per esplorare la relazione tra istituzioni, musei, accademie e sfera sociale. Nel 2020 ha vinto l’Italian Council con il progetto South of Imagination (2021-2022), finalizzato alla creazione di una scuola interdisciplinare a Matera, che gestirà per i prossimi trent’anni tramite un’associazione e grazie a una convenzione stipulata con il demanio. La Scuola dei Sassi è in fase di ristrutturazione e aprirà nella prossima primavera. Il processo di costruzione dell’offerta formativa, destinata a ragazzi tra i quindici e i ventidue anni, avviene insieme ai cittadini e nel corso di laboratori di coprogettazione, in cui Orlando si pone come mediatore. La presenza, nell’area dei Sassi, di una scuola fondata su forme pedagogiche di autorganizzazione vuole anche essere una risposta da parte dell’artista al fenomeno della gentrificazione, una modalità per riportare la città alla sua dimensione di spazio di confronto e apprendimento collettivo.


[1] Per la lettura storica e critica di tali pratiche a livello internazionale, si segnala il saggio di P. Gaglianò, La sintassi della libertà: Arte, pedagogia, anarchia, Gli Ori, 2020.
[2] I. Bernardi, Conversazione con Adelita Husni-Bey / Per un’arte radicale, in «Doppiozero», 25 novembre 2017, <https://www.doppiozero.com/per-unarte-radicale> (17 ottobre 2023).