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Autodidatta
Le infinite vie dell’arte

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In ordine alfabetico: Giovanni Anselmo, Stefano Arienti, Gianfranco Baruchello, Jacopo Benassi, Alighiero Boetti, Alberto Burri, Maurizio Cattelan, Giuseppe Chiari, Enzo Cucchi, Dadamaino, Nicola De Maria, Luciano Fabro, Flavio Favelli, Pinot Gallizio, Giorgio Griffa, Goldschmied & Chiari, Ketty La Rocca, Piero Manzoni, Mario Merz, Luigi Ontani, Vettor Pisani, Cesare Pietroiusti, Luca Rossi, Salvo. Una lista di artisti che potrebbe continuare. Ma cosa li lega tra loro? Quali poetiche? Quali necessità?

In realtà non si tratta di poetiche, o perlomeno non soltanto, quanto del fatto che i percorsi di studi di questi artisti non sono legati alle arti visive: più che licei artistici, istituti d’arte, accademie di belle arti, ci troviamo di fronte a percorsi diversi, apparentemente lontani dall’arte, come il liceo classico, le facoltà di Legge e Medicina, queste ultime prevalenti, fino a qualche anno fa, anche tra i collezionisti. Nello specifico: Anselmo, Fabro, Favelli, Mauri hanno condotto studi classici; Burri, Dadamaino, De Maria, Merz, Pietroiusti, Medicina; Gallizio, Farmacia; La Rocca, scuole magistrali e Radiologia; Cattelan, istituto tecnico industriale e infermieristica; Baruchello, Griffa, Manzoni, Legge; Boetti, Economia; Chiari, Matematica e Ingegneria; Arienti, Agraria; Goldschmied & Chiari, Sociologia; Rossi, Scienze internazionali e diplomatiche; Ontani e Salvo hanno compiuto la scuola dell’obbligo; Vettor Pisani è geometra; Enzo Cucchi non ha terminato la scuola dell’obbligo perché espulso da tutte le scuole d’Italia.

Tutto ciò conferma che l’arte, almeno quella moderna e soprattutto contemporanea, è un territorio libero, uno spazio poeticamente e linguisticamente extraterritoriale in cui tutto può accadere e accade. Soprattutto è un ambito in cui è possibile infrangere le regole dell’arte e delle altre discipline che nell’arte vengono praticate, stabilendone delle nuove. Sul tema della formazione rifletto da anni, anche attraverso alcune mostre: Opera prima, all’ex Opificio Gaslini (1994) e Avviso di garanzia, nell’ex tribunale (2016), per Fuori uso, a Pescara; La classe non è acqua, allestita alla GAMeC di Bergamo (2011). Nella prima mettevo in relazione i lavori di ventidue artiste e artisti, realizzati in età infantile e giovanile, con altrettante opere della maturità, successive alla vera e propria consacrazione artistica[1]; la seconda era dedicata agli studenti delle accademie di belle arti italiane, segnalati dai professori, invitati anch’essi a esporre con loro; la terza, invece, era dedicata a settanta opere di artisti noti (Carla Accardi, Stefano Arienti, Joseph Beuys, Allan Kaprow, William Kentridge, Michelangelo Pistoletto, Thomas Schütte, Cindy Sherman ed Andy Warhol), a confronto con altrettanti elaborati realizzati da studentesse e studenti di scuole di ogni ordine e grado[2].

I cataloghi hanno delle particolarità: sulla copertina di Opera prima è riportata l’immagine di Giotto che disegna su una roccia alla presenza del suo maestro Cimabue, aneddoto narrato ne Le Vite di Vasari e così come rappresentato sulla confezione dei pastelli Giotto Fila, che ogni bambino italiano conserva nella memoria. Quello di Avviso di garanzia contiene, invece, oltre alle immagini delle opere esposte, i dialoghi tra docenti, allieve e allievi delle diverse accademie.

Come numi tutelari di questa indagine potremmo assumere i Dioscuri dell’arte italiana e internazionale; i fratelli Giorgio e Andrea de Chirico, quest’ultimo più noto con il nome di Alberto Savinio, rispettivamente formatisi all’accademia di belle arti e negli studi musicali e letterari. Se Giorgio de Chirico fu sempre pittore, Andrea de Chirico vi divenne solo nel 1926, dopo aver già pubblicato romanzi e partiture musicali, decidendo perciò di adottare uno pseudonimo e realizzando pitture su carta. Lavori che il fratello Giorgio non esitò a definire «Molto belli e impressionanti tutti»[3] Giorgio Castelfranco aggiunge: «È interessante questo fenomeno per noi storici dell’arte; la chiave si trova quasi nella bottega del Rinascimento: Il veder lavorare, essere accanto a chi dipinge, permette evidentemente di apprendere insensibilmente attraverso l’occhio e la memoria»[4].

E Filippo de Pisis, anche lui laureato in lettere, è prima solo poeta e critico d’arte, fino a quando, nel 1920, non esordisce con disegni e acquerelli nella galleria romana del futurista Anton Giulio Bragaglia. Nel frattempo pubblica Ver-vert, definito da Luisa Laureati e Daniela de Angelis, nel loro Filippo de Pisis, la felicità del dipingere «un diario impudico di un poeta che andava diventando sempre più pittore»[5]. Si tratta di esperienze e formazioni pregresse praticate ad arte, anzi verso l’arte e per l’arte. Se si pensa per esempio alla laurea in medicina di Alberto Burri, le cuciture delle sue opere sembrano voler ricucire le ferite dell’esistenza del e dal dopoguerra e oltre. Lucio Fontana, al contrario, ha una formazione accademica sia per nascita (proviene da una famiglia di scultori) che per formazione in scuole d’arte, in Argentina e in Italia, dove, all’accademia di Brera è allievo di Adolfo Wildt. Fontana pratica un’arte in un certo senso complementare a quella di Burri. Dove il primo col bisturi taglia la tela, il secondo con ago e filo la sutura. Sappiamo bene che poetiche e scopi sono distanti: spazio per Fontana e corpo per Burri, ma va da sé che i due, il didatta e l’autodidatta, in qualche modo si guardino. Cosa ci dice tutto questo se non che le vie dell’arte, come quelle del Signore, sono infinite e lastricate di buone e cattive intenzioni, di vite e malavite fatte ad arte? Come abbiamo visto, gli approcci sono differenti e diversamente innovativi. A campione e a specchio, si può proseguire con l’esempio di Giuseppe Chiari, tra i massimi artisti Fluxus che, avendo intrapreso studi di matematica, non a caso accede all’arte visiva per via musicale. Difatti, è noto fin da Pitagora (filosofo e matematico greco che elaborò la prima scala musicale) come la relazione di rapporti numerici tra le frequenze sveli le analogie presenti tra matematica e musica in fatto di ritmo, proporzione, tempo e intervalli. E se è certo che le opere di Nicola De Maria rimandino alla tradizione dell’arte astratta, e in molti casi soprattutto a Paul Klee, è soprattutto perché leggiamo l’arte con gli occhi dell’arte. Altrimenti ci parrebbero note musicali, spartiti cromatici, come suggerisce l’artista, ma anche uno scavo nel profondo della nostra mente e della nostra coscienza. Pinot Gallizio, invece, contravvenendo alla scienza, dà vita, con Jorn e altri al Bauhaus immaginista e al situazionismo. Gli studi magistrali e il lavoro in radiologia permeano poi l’opera di Ketty La Rocca, in particolare le sue foto stampate su plastica trasparente, le radiografie del proprio corpo. L’artista utilizzerà anche molta scrittura nella sua pratica, divenendo una protagonista nell’ambito della poesia visiva. Malattia e morte sono d’altro canto presenti nelle opere di molti artisti, dato che per alcuni l’arte è anche il tentativo di superarle. Ne è un esempio Cesare Pietroiusti, il cui lavoro spesso prende avvio da pensieri non funzionali, che la ‘gente normale’ definirebbe ‘malati’. Anche nell’opera di Maurizio Cattelan, che ha un passato da infermiere, e dunque quotidiniamente a contatto con la vita malata e/o finita, il percorso vita-morte è centrale, temi che ritroviamo in papi feriti, bimbi impiccati e animali tassidermizzati, fino al doppio sé sul letto di morte, che preclude la strada a qualsiasi resurrezione che non sia quella dell’arte. La finta naïveté di Salvo e di Ontani poi, riapre il discorso inerente alla pittura, alla memoria dell’arte e della vita, anche mettendo diversamente alla prova le nostre certezze sul saper dipingere, disegnare, sul terreno scivoloso concettuale del fare. Similmente l’indisciplina segnica, formale e contenutistica di Enzo Cucchi mostra l’arte di un artista insofferente alle regole istituzionali che si nutre del mondo contadino prepasoliniano. Quel Pasolini con cui Mauri di Linguaggio è guerra ha studiato e realizzato riviste di critica letteraria, artistica e politica come «Il Setaccio». Provenienti dalla sociologia, Sara Goldschmied & Eleonora Chiari affrontano poi temi esistenziali che parlano di attivismo, femminismo, ecologia con opere/dispositivi di rimozione, risvegliando la nostra coscienza sopita, mentre Luciano Fabro è l’esempio di chi fa della filologia e dell’etimologia uno dei centri poetici del proprio lavoro, tanto da guidarlo verso una concezione dell’arte che torna arte, passando anche da ciò che a prima vista può apparire come antiarte. Nel geometra Pisani il tema del labirinto della costruzione massonica è essenziale. E se Luca Rossi, a partire da studi diplomatici, con la sua pratica sembra mostrare poca diplomazia, è perché l’impiego del linguaggio scritto e parlato diventa l’arma per smuovere le coscienze addormentate del suo mondo di riferimento, servendosi dei social media come nuova frontiera della nostra esistenza, che rischia di esplodere finendo nella merda, anche se nella merda d’artista di Piero Manzoni. Quel Manzoni che sottraendosi in tempo all’avvocatura prese le difese d’arte con opere che dalla citata Merda d’artista vanno ai corpi d’aria, alle linee d’infinito, basi magiche fino all’arte mangiata, digerita e cagata che arringa all’autodidatta vigilanza critica della contemporaneità.


[1] Fuori uso ’94, Opera prima. Vito Acconci, Getulio Alviani, John Armleder, Guillaume Bijl, Max Bill, Enzo Cucchi, Wim Delvoye, Alberto Garutti, Robert Longo, Paul McCarthy, Mario Merz, Hidetoshi Nagasawa, Luigi Ontani, Julian Opie, Mimmo Paladino, Alfredo Pirri, Michelangelo Pistoletto, Dimitrij Prigoc, Cindy Sherman, Ettore Spalletti, Haim Steinbach, Constantin Zvezdotchotov, a cura di G. Di Pietrantonio, ex Opificio Gaslini, Pescara, 22 luglio – 10 agosto 1994.
[2] La classe non è acqua. Maestri contemporanei VS giovani d’oggi, a cura di G. Di Pietrantonio, GAMeC, Bergamo, 23 marzo – 24 luglio 2011.
[3] Da Archivio Alberto Savinio: https://www.albertosavinio.it/it/biografia.
[4] Ibidem.
[5] L. Laureati, D. de Angelis, Filippo de Pisis. Nel centenario della nascita: la felicità del dipingere, catalogo della mostra (Firenze), Galleria Pananti, 1996.