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Architetture umane
Il contesto civile in Andrea Mastrovito

Andrea Mastrovito, NYsferatu – Symphony of a Century, veduta dell’installazione presso Kunsthalle Osnabrück, 2018, proiezione su circa 12.000 libri, 4 x 6 m, foto Angela Von Brill

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Collaborazione, autorialità, mediazione, immaginario collettivo, contesto e monumentalità: spesso parlare di arte nello spazio pubblico prevede l’impiego di questi termini. Più che di semplici parole, si tratta di valori che negli anni hanno identificato linguaggi, pratiche, e orizzonti di metodo e di ricerca. C’è chi ha sperimentato la partecipazione per dare voce a storie perdute o a figure marginalizzate, chi ha trovato nell’ambiente la risorsa indispensabile per produrre innovazione e cambiamento, chi ha restituito la natura delle comunità attraverso il lavoro artistico: ciascuna di queste strade ha dato vita a forme diverse di monumentalità. L’intensa valenza transdisciplinare e politica di queste pratiche, ha però avuto un forte impatto sull’aspetto visivo e, insieme a ciò, anche sulla componente fisica e oggettuale delle opere: in molti casi, infatti, dalla mediazione non scaturisce un vero e proprio risultato estetico, che permane nel tempo, e anche se in tali circostanze è lecito parlare di performance, il tema è molto complesso e va definito e articolato in maniera strutturata. In questi brevi appunti lo scopo di chi scrive è quello di presentare il caso di un artista che da sempre lega in maniera indissolubile il ‘fare concettuale’ e il ‘fare visivo’, e che nutre sé stesso, le sue opere e i suoi personaggi attraverso l’uscita nelle strade e nei quartieri del mondo: Andrea Mastrovito. Il collegamento con le pratiche sociali non appare immediato, eppure molti dei suoi progetti si originano da forme di collaborazione pensate appositamente per la realizzazione dell’opera: per provare a definire il significato di ‘paura’, ad esempio, l’artista e la curatrice Julia Draganović, in occasione della personale alla Kunsthalle di Osnabrück (2018), hanno chiesto alla cittadinanza di indicare i titoli di libri associabili a quel sentimento, e con i volumi della bibliografia raccolta è stata costruita la parete per la proiezione di Nysferatu – Symphony of a Century. Nysferatu stesso, il film del 2017 ispirato alla pellicola di Murnau del 1922, è stato completamente scritto (e disegnato, divenendo una potentissima animazione di più di 35.000 disegni) nel corso di una serie di workshop rivolti alle comunità di immigrati a New York. Rispetto alla pellicola originaria, infatti, Mastrovito ha spostato le geografie in due luoghi cruciali del nostro presente, New York e la Siria, e non sarebbe stato possibile costruire un lavoro sensato se non attraverso gli immaginari e le voci di chi, come il protagonista Orlock, vive con dolore la separazione.

Sempre negli Stati Uniti, e sempre a New York, l’artista ha realizzato Kickstarting! (2014), un’opera ambientale realizzata insieme ai bambini del quartiere di Bushwick, nel cortile della scuola di St. Joseph. Dal dialogo è scaturito un repertorio di immagini corrispondente ai loro sogni che è stato fissato sui muri attraverso una delle azioni ludiche e di aggregazione sociale più semplici e conosciute nel mondo: calciando dei palloni ricoperti di grafite. Nel 2019 ad Assab One, nel multietnico quartiere Padova di Milano, ha indetto invece un’open call internazionale per raccogliere libri appartenenti a luoghi e culture diverse: dalle copertine ha realizzato 200.000 tessere puzzle con cui ha composto un’opera permanente, Babel, un pavimento fatto di storie e racconti provenienti da tutto il mondo.

Se nei casi citati l’uscita verso l’esterno è finalizzata a tracciare visioni attraverso l’interazione, è bene dire che Mastrovito non lavora solo attraverso la collaborazione e che la straordinaria monumentalità delle sue opere non caratterizza solamente i suoi progetti partecipativi. Nel caso di Tristes presentimientos de lo que ha de acontencer (Fundacion Proa – Proa21, Buenos Aires, 2022) ad esempio, ha realizzato una enorme installazione disegnando su una moltitudine di rifiuti e oggetti abbandonati in strada nel quartiere della Boca di Buenos Aires, mentre ne La diseducazione al reale (2021) ha usato i banchi dismessi di una scuola di Bergamo. Per proiettare il film I Am Not Legend durante la monografica Io non sono leggenda a Pistoia (Palazzo Fabroni, 2020), infine, ha deciso di utilizzare una parete costituita in buona parte di libri provenienti da un carcere femminile e destinati al macero. Proprio come quando coinvolge la gente e la sue visioni, l’artista cerca traiettorie e sguardi trasversali capaci di uscire dalle solite narrazioni per farne emergere altre, tanto vere e tanto reali quanto lo sono le persone o le cose che appartengono alle loro vite. Ogni scelta e ogni capitolo del suo incessante viaggio nella natura dell’uomo ha in fondo lo scopo di portare agli occhi ciò che è marginale, che sia il sogno di un bambino, l’ultima pagina di un libro (Neverending End, piazza Promessi Sposi, Bergamo, 2014), la memoria di una casa che sta per essere abbattuta (Owsiana 1, Danzica, PL, 2014) o la traccia stessa di un’esistenza, come accade ai protagonisti in rivolta delle sue ultime lavagne incise (la serie Zero Casualties, 2021-2023) che, occupando le strade, brandiscono libri (e dunque il pensiero) per non essere cancellati. A ben vedere quindi, sono proprio i suoi personaggi a farci percepire i contorni delle architetture umane, politiche e sociali tracciate in ogni sua opera: si tratta di persone che vivono il mondo in tutte le sue parti, senza esclusioni. È gente comune che però si colloca ai lati delle storie principali. Sono reietti ma non sono mai totalmente avulsi dal contesto: si muovono in ambienti eterogenei e non ci sono limiti o zone escluse dal loro peregrinare, ed è proprio questo errare a nutrire la vicenda artistica di Mastrovito, per il quale essere in strada significa essere fuori dai confini del sé, cercando in tutti i luoghi, trovandosi in tutte le storie, provando a non perdere ciò che tende, per forza di cose, a dissolversi.