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Il ritorno del rimosso: Carla Lonzi nel presente

Veduta della mostra Il soggetto imprevisto. 1978 Arte e femminismo in Italia, FM – Frigoriferi milanesi, aprile-maggio 2019, courtesy Agostino Osio – Alto Piano Studio

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Sono trascorsi più di vent’anni da quando Emanuela De Cecco, nell’introduzione al libro Contemporanee, scritto a quattro mani con Gianni Romano, metteva a fuoco la poca attenzione con cui la critica d’arte italiana a partire dal secondo dopoguerra aveva guardato all’arte delle donne. All’epoca l’autrice individuava una «doppia assenza»[1], quella delle artiste all’interno dei cataloghi di mostre e delle antologie critiche, e quella di voci pronte a rilevare tale carenza e ad abbandonare traiettorie storiche e curatoriali consolidate: «Informale, arte concettuale, arte povera, performance, ritorno alla figurazione e così via, sono alcune delle principali parole chiave che vanno a comporre i tasselli di un racconto che risulta privo di sorprese»[2]. Più che semplici parole chiave, queste erano le parole d’ordine che dominavano la narrazione della storia dell’arte italiana durante il periodo della mia formazione (che ha coinciso, grosso modo, con la pubblicazione di Contemporanee). In quel momento De Cecco ha posto in evidenza – ed è stata tra le poche a farlo – l’incapacità dell’università italiana nell’aprirsi agli studi di genere nell’ambito della storia dell’arte e nel farsi promotrice attiva e fucina di elaborazione teorica. Un ritardo che può anche essere considerato altrimenti, come una specificità dell’Italia, dove la diffusione del pensiero femminista ha seguito canali spesso meno istituzionali rispetto a quelli dei Paesi anglosassoni. Nondimeno la disattenzione di gran parte del mondo accademico ha contribuito a delegittimare pratiche artistiche non incluse nel canone della storia dell’arte del XIX secolo, con ripercussioni che arrivano fino all’oggi e si rendono tangibili nelle collezioni pubbliche e private del nostro Paese. Negli ultimi dieci anni, sono stati fatti notevoli passi avanti in questa direzione e l’eccezionale ritorno d’interesse critico nei confronti del pensiero di Carla Lonzi (in gran parte legato a studiose che operano nelle università) è un indizio significativo di questa svolta che, tuttavia, ha ragioni più profonde e che eccedono la semplice richiesta di uguaglianza, a cui il femminismo lonziano non mirava. «Il porsi della donna non implica partecipazione al potere maschile, ma una messa in discussione del potere»[3], scriveva infatti Lonzi nel 1974. Dopo avere occupato per anni un posto marginale nella storiografia artistica, la sua esperienza è tornata al centro di una straordinaria attenzione, culminata nelle riedizioni e traduzioni di Autoritratto, nel libro miscellaneo del 2011 Carla Lonzi: la duplice radicalità. Dalla critica militante al femminismo di Rivolta, a cura di Lara Conte, Vinzia Fiorino e Vanessa Martini, nella raccolta dei suoi Scritti sull’arte, curata nel 2012 da Conte, Laura Iamurri e Martini, nelle due corpose monografie pubblicate da Iamurri e Giovanna Zapperi rispettivamente nel 2016 e nel 2017, nei più recenti (entrambi del 2020) volumi La storia dell’arte dopo l’autocoscienza. A partire dal diario di Carla Lonzi di Carla Subrizi e Feminism and Art in Postwar Italy: The Legacy of Carla Lonzi, curato da Francesco Ventrella e Zapperi[4]. Insieme a questa ricchissima mole di contributi, di cui ho fatto qui soltanto un rapido e parziale resoconto, la vicenda di Lonzi è stata oggetto di riflessione di una serie di mostre inaugurate in Italia tra il 2019 e il 2021: Il soggetto imprevisto (Frigoriferi Milanesi, 4 aprile 2019), Doing Deculturalization (Museion, 13 aprile 2019) e Io dico io (La Galleria Nazionale, 22 marzo 2021)[5]. Benché sviluppate secondo prospettive curatoriali assai diverse, queste mostre sono accomunate dal tentativo di verificare nel presente e nella contingenza propria del dispositivo espositivo l’attualità degli scritti di Lonzi e la sua eredità nel campo dell’arte contemporanea, grazie alla riattivazione creativa dei materiali appartenenti al suo archivio o ad archivi legati alla storia del neofemminismo italiano[6]. Queste mostre sono anche spia del forte interesse nei confronti delle relazioni tra archivio, museo, pratica curatoriale e femminismo, maturato in una generazione di studiose e curatrici nate durante o subito dopo l’esperienza dei movimenti di liberazione della donna degli anni Sessanta e Settanta. Per la più giovane generazione di femministe, come ha chiarito Kate Eichhorn, l’archivio infatti «non è necessariamente una destinazione né una barriera impenetrabile da superare, quanto piuttosto un luogo e una pratica che fa parte integrante della produzione culturale e dell’attivismo»[7]. Ma l’interesse per gli scritti lonziani, e più in generale per i rapporti tra arte e femminismo in Italia, non ha influito soltanto sulle nuove prospettive messe in campo nell’ambito della scrittura d’arte e della scrittura espositiva, ma anche sul lavoro di una generazione di artiste attive dagli anni Zero che, con le loro opere, hanno contributo a riattivare la radicalità del pensiero e del rifiuto di Lonzi. La mostra Suite Rivolta. Carla Lonzi’s Feminism and the Art of Revolt[8], curata nel 2016 da Anna Daneri e dalla già ricordata Zapperi, ha fatto il punto su questa situazione, gettando luce sul potenziale trasformativo e sulla risonanza che Lonzi continua ad avere nella contemporaneità: artiste come Silvia Giambrone, Chiara Fumai, Marinella Senatore (non presente nella mostra di Lisbona) o il duo Claire Fontaine – pur operando secondo visioni e linguaggi autonomi – interrogano il pensiero lonziano in quanto materia viva, lo calano nell’oggi, lo usano come strumento di rivolta per «essere all’altezza di un universo senza risposte», per dirla con le parole di Lonzi che danno il titolo all’autoritratto di Giambrone esposto nel 2010 a Villa Medici. Qual è, dunque, il motivo di questo interesse verso le istanze espresse dal femminismo degli anni Settanta? Perché le opere e i testi di quegli anni non smettono di attrarre e sollevare quesiti che le artiste e la critica d’arte avvertono come urgenti e attuali? Le ragioni, com’è logico, sono molteplici e non vanno rintracciate unicamente entro il perimetro della storia dell’arte. L’odierna attenzione per la stagione delle rivolte femministe degli anni Settanta è infatti intimamente connessa al crescente rafforzamento dei movimenti femministi, transfemministi e queer, che nell’ultima decade hanno dato prova, su scala globale, di grande vitalità, e hanno saputo reinterpretare lo spirito ribelle e insurrezionale del movimento di liberazione della donna. Nel 2018 la ‘marea femminista’ è tornata a occupare le strade con il Terzo sciopero internazionale delle donne: migliaia di attiviste, in settanta Paesi diversi, si sono mobilitate contro la precarizzazione del lavoro, la disuguaglianza salariale, le molestie sessuali, le discriminazioni di genere. Le attività di Non una di meno, Lucha y Siesta e della fitta rete di case, librerie, collettivi femministi e LGBTQI+ sparsi su tutto il territorio nazionale, hanno visto una partecipazione crescente, con ricadute culturali importanti che riescono a incidere sull’immaginario del Paese. Stringendo lo sguardo al campo dell’arte, non va sottovalutata la spinta propulsiva di mostre internazionali significative, quali Global Feminisms al Brooklyn Museum di New York (2007), Wack! Art and the Feminist Revolution al MOCA di Los Angeles (2007), Elles@centrepompidou a Parigi (2009) o Radical Women: Latin American Art, 1960-1985 allo Hammer Museum (2017), la cui eco è stata forte anche in Italia. L’attrazione esercitata dalla figura di Lonzi e dal femminismo radicale degli anni Settanta, va inoltre letta nel quadro di una più generale fascinazione per l’arte di quel decennio, che non ha avuto come esito soltanto repêchage utili al mercato. Numerosi artisti e artiste attivi in Italia a partire dagli anni Zero hanno scelto di volgere il proprio sguardo ai Settanta, alle istanze collettive e dissidenti emerse in quella decade, e hanno dato avvio a un’operazione di scavo nella storia e nel pensiero di quel periodo, per ridisegnare genealogie affettive e politiche al di fuori della concezione lineare del tempo e per recuperare storie rimosse in grado di dare risposte alle domande del presente. Tornare oggi a interrogare e a rileggere Lonzi significa quindi provare a rompere con i modelli storiografici egemonici e operare una critica vigile delle forme di rappresentazione e delle ideologie in cui siamo per troppo tempo rimasti invischiati.


[1] E. De Cecco, Trame: per una mappa transitoria, in Id., G. Romano, Contemporanee. Percorsi e poetiche delle artiste dagli anni Ottanta a oggi [2000], edizione consultata Postmedia Books, 2002, p. 15.

[2] Ibid.

[3] C. Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Rivolta femminile, 1974, p. 14.

[4] Tra i recenti studi dedicati a Carla Lonzi si ricordano: L. Iamurri, Un margine che sfugge. Carla Lonzi e l’arte in Italia. 1955-1970, Quodlibet, 2016; G. Zapperi, Carla Lonzi. Un’arte della vita, DeriveApprodi, 2017; Feminism and Art in Postwar Italy. The Legacy of Carla Lonzi, a cura di F. Ventrella, G. Zapperi, Bloomsbury, 2020; Carla Lonzi: la duplice radicalità. Dalla critica militante al femminismo di Rivolta, a cura di L. Conte, V. Fiorino, V. Martini, Edizioni ETS, 2011; C. Subrizi, La storia dell’arte dopo l’autocoscienza. A partire dal diario di Carla Lonzi, Lithos, 2020.

[5] The Unexpected Subject 1978 Art and Feminismin Italy, catalogo della mostra, Flash Art, 2019; Deculturalize, catalogo della mostra, (Bolzano, 2019), Mousse Publishing, 2020; Io dico io – I say I, catalogo della mostra (Roma), Silvana Editoriale, 2021.

[6] Su questo tema si è concentrato l’intervento Quattro mostre, Carla Lonzi, l’archivio, che ho tenuto in occasione del convegno Archivi esposti. Teoria e pratica dell’arte contemporanea, a cura di M. Maiorino, M.G. Mancini, F. Zanella, Università degli Studi di Bari, 15-16 ottobre 2021 (atti in corso di pubblicazione con Quodlibet).

[7] K Eichhorn, The Archival Turn in Feminism. Outrage in Order, Temple University Press, 2013, p. 3.

[8] La mostra si è tenuta dal 18 ottobre al 6 dicembre 2015 al Museu da Eletricidade di Lisbona.