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Gli artisti come attivatori di comunità
Spazi collettivi e condivisi a Firenze e a Prato

©️BASE PROGETTI PER L’ARTE

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Dal futurismo alla metafisica, dal realismo magico alla scuola romana, dallo spazialismo alla scuola di piazza del Popolo o dall’arte povera alla transavanguardia, la storia dell’arte italiana del Novecento viene attraversata da movimenti, correnti, classificazioni o etichette più o meno forzate, più o meno necessarie, più o meno studiate a tavolino. Una serie di ‘camicie di forza semantiche’, per dirla con Robert Rosenblum, che ingabbia il flusso degli avvenimenti, le ambiguità e le trasformazioni, sia con intento politico/ideologico nel trovare una definizione comune, sia per un’esigenza di adattarsi o inserirsi in un contesto internazionale in cui, di volta in volta, gli artisti condividono interessi, convinzioni o urgenze.

Nel XXI secolo, la diversificazione di queste ultime, la velocità dei cambiamenti di paradigma, la dilatazione dello spazio fisico in cui lavorare e soprattutto l’aumento esponenziale delle possibilità per tessere rapporti, conducono alla consapevolezza che ogni tentativo di creare gruppi, tendenze specifiche o catalogazioni troppo costrette, sarebbe non solo futile, ma anche fallimentare.

Tuttavia, emerge sempre più spesso, come l’artista abbandoni o metta in secondo piano lo studio privato, isolato e intimo per favorire il confronto, il dialogo, la discussione e le possibilità di relazionarsi con l’altro attraverso gli studi condivisi, la creazione di piattaforme collettive o la strutturazione di spazi che vedono artisti invitare altri artisti, curatori, designer, danzatori, performer e intellettuali. Un’apparente contraddizione che sfuma velocemente e trova la sua legittimazione se consideriamo come, nella maggior parte dei casi, gli artisti diventino attivatori di comunità tramite una dimensione inclusiva del territorio in cui lavorano, non come antropologi del contingente, bensì come catalizzatori di esperienze.

In questo articolo prendo in esame una serie di tentativi di instaurare un principio insediativo della cultura nella società, che riesce non solo a originare una trama espansa di relazioni, ma che arriva soprattutto a diventare parte costitutiva della conformazione di una collettività.

Nel contesto toscano e in particolare nelle città di Firenze e Prato, non mancano gli esempi storici, ma volendo concentrarsi sulle realtà ancora in essere, è necessario iniziare da BASE / Progetti per l’arte.

Si tratta di un luogo la cui attività inizia nel 1998 a cura di un collettivo di artisti che vivono e operano in Toscana e che promuovono, a Firenze, alcuni tra gli aspetti più interessanti dell’arte di oggi.

La realtà, situata nel quartiere di San Niccolò, si propone come luogo di informazione e scambio di esperienze che fanno parte di un patrimonio comune al quale tutti possono attingere grazie all’organizzazione di mostre, progetti, confronti e dialoghi. Gli artisti si avvicendano nella conduzione dell’attività prefiggendosi di coinvolgere, in una forma di partecipazione e supporto attivo, un numero sempre più vasto di altri artisti, studiosi, collezionisti e amici. Attualmente ne fanno parte Mario Airò, Marco Bagnoli, Massimo Bartolini, Vittorio Cavallini, Yuki Ichihashi, Paolo Masi, Massimo Nannucci, Maurizio Nannucci, Paolo Parisi, Remo Salvadori ed Enrico Vezzi, con il coordinamento, dal 2000, del curatore Lorenzo Bruni.

Più di recente, nel 2017, nasce una delle realtà più interessanti, e tuttora attive, del panorama fiorentino.

Nell’ottobre di quell’anno, infatti, gli artisti Luigi Presicce e Francesco Lauretta danno vita alla scuola di Santa Rosa nel bistrot dell’omonimo Lungarno che, da quel momento, ogni martedì mattina, diviene luogo di ritrovo per disegnare collettivamente con chiunque lo desideri, senza nessun obiettivo preciso se non quello di condividere un tempo ‘liberato’.

La scuola di Santa Rosa trova il suo input nella volontà di ritagliare momenti che rendano protagoniste l’osservazione del quotidiano, l’attenzione per la realtà circostante, la pazienza di catturare con l’occhio e con il rapido gesto la fragilità di ciò che è sempre in transizione. Insieme a loro, artisti, studenti, amici, curiosi o passanti disegnano, condividendo un momento di vita strappato all’urgenza spesso inutile e faticosa del quotidiano, senza imparare nulla, senza desiderare nulla, senza fare nulla se non disegnare, parlare, convivere. Un modello – e un atteggiamento nei confronti della pittura, del disegno, della didattica, del tempo e delle necessità – che è stato esportato anche in altri contesti con l’unico scopo di aprirsi a tutti coloro che ne vogliono fare parte, a prescindere dalle capacità, dalle intuizioni o dalle intenzioni con cui ciascuno arriva a entrare, fisicamente e mentalmente, in questa scuola.

La convivialità, intesa come momento di condivisione e confronto, la troviamo declinata in modo diverso nel progetto Toast, nato a gennaio del 2019 all’interno dell’ex-casotto della portineria della Manifattura Tabacchi di Firenze, per volontà dell’artista Stefano Giuri. Progressivamente intorno a lui si è creata una comunità di artisti, curatori, fotografi, grafici, professionisti legati al mondo editoriale (tra cui Matteo Coluccia, Gabriele Tosi, Leonardo Morfini, Moretti Pisani, Cecilia Cirillo) che si confronta costantemente sulla programmazione e sulle attività. Sia per quanto riguarda la tipologia di pianificazione che per le modalità di fruizione, Toast ha avuto una notevole ricaduta sul tessuto sociale che frequenta la Manifattura, soprattutto per l’ambiguità della sua posizione, una piazza privata divenuta a tutti gli effetti pubblica. La scelta di lavorare sulla produzione di una singola opera, da parte di ciascun artista invitato, ha condotto a una programmazione in cui le mostre personali si susseguono continuamente, ma con tempistiche diverse. Questo permette di lasciare ampio margine di pausa tra un progetto e il successivo, con la possibilità di ragionare sugli spazi vuoti come luoghi di indagine, riflessione e critica.

Un aspetto fondamentale di Toast è l’organizzazione di cene e momenti informali che coinvolgono la comunità artistica di Firenze, anche in collaborazione con le altre realtà che vivono all’interno della Manifattura, come NAM – Not A Museum o la galleria Veda, sia all’interno degli spazi espositivi sia, soprattutto, nel vicino circolo Arci Mario Bencini, dove la comunità di operatori culturali si allarga, si intreccia e si confonde con il tessuto del quartiere.

Con prerogative molto diverse, invece, ma con finalità e intenzioni analoghe, ha origine Artiglieria, un’associazione fondata nel 2020 da Gaia Altucci, Niccolò̀ Vannucchi, Caterina Milli, Martina Rotella, Ache77, ExitEnter e Nian, a cui si sono uniti successivamente Gianluca Trusso, Kraita317, Renzo Mezzetti, Luca Graziani, Lorenzo Passaniti e il collettivo Nuans FotoStudio.

Sebbene il progetto sia nato con l’idea di costruire uno spazio di lavoro privato, l’unione dei suoi membri fondatori ne ha orientato l’attività verso la sfera pubblica, trasformandolo in associazione culturale. I quindici artisti/e che, in modalità di coworking, operano a oggi nello spazio, portano avanti ricerche in ambiti artistici variegati come la pittura, la scultura, la street art, la fotografia, la performance e la musica elettronica, punto di forza dell’associazione, che mette in campo molteplici competenze e permette una contaminazione continua di visioni e sensibilità.

Artiglieria fonda però la sua identità anche su un luogo fisico, uno spazio di sperimentazione e condivisione che quotidianamente viene abitato dai suoi membri, oltre a portare avanti una direzione artistica incentrata sulla produzione di mostre ed eventi nell’ambito delle arti contemporanee. Non perdendo il carattere di studio e sfruttando la versatilità dello spazio, i fondatori e le fondatrici di Artiglieria hanno canalizzato questa duplice esigenza di ricerca interna e apertura verso l’esterno nella strutturazione di contenitori culturali in collaborazione anche con altre realtà.

La vicinanza geografica tra Firenze e Prato, il continuo spostamento di artisti, curatori e pubblico tra le due città e la nascita, negli ultimi anni, di alcune realtà collettive che stanno incidendo costantemente sul contesto locale, mi porta a inserire due progetti estremamente eterogeni ma perfettamente coerenti con il tema di questo articolo, entrambi con sede a Officina Giovani nella città del tessile.

Nato all’inizio del 2019 su impulso di un bando indetto dal Comune di Prato per la realizzazione di residenze d’artista presso Officina Giovani (Ex Macelli pubblici), Estuario è un progetto di Marina Arienzale, Serena Becagli, Francesca Biagini, Roberto Fassone, Matteo Innocenti, Dania Menafra, Enrico Vezzi e Virginia Zanetti. Un project space che si configura come occasione di incontro e collaborazione tra artisti, curatori e autori, riuniti dalla volontà di ragionare sulla dimensione attuale delle pratiche artistiche e di proporre una piattaforma di scambio, di condivisione e dialogo, riflessione e produzione, aperta a un pubblico eterogeneo, tramite diversi formati laboratoriali ed espositivi, tra cui workshop con artisti, talk e mostre.

TranSpace, invece, è uno spazio nato nel 2020 con l’intenzione di attraversare i confini del territorio, delle credenze e delle identità, attraverso pratiche quotidiane di interconnessione e condivisione. Il progetto nasce dalla collaborazione fra tre realtà associative del territorio toscano formate da artisti/e e curatrici – CUT Circuito Urbano Temporaneo (Stefania Rinaldi, Simone Ridi, Lorenzo Coco, Simone Cariota e Viola Pierozzi), FORME (Silvia Bellotti e Erica Romano) e il Collettivo MASC (Lavinia Nuti, Alice Risaliti, Matilde Toni e Valentina Amelia), e dalla loro volontà di relazionarsi e contaminarsi reciprocamente. L’obiettivo di TranSpace è di ripensare i luoghi, le relazioni e la processualità creativa partendo dalla sperimentazione artistica contemporanea più legata alla coscienza sociale e culturale, mediante uno scambio che, attraverso l’intergenerazionalità e il multilinguaggio, disegna nuove modalità di diffusione dei messaggi culturali. Attraverso l’organizzazione di residenze artistiche, workshop, incontri e laboratori, artisti e cittadini sono invitati a confrontarsi su tematiche contemporanee, nel tentativo di spingersi oltre il senso comune e scontato delle cose: oltre ogni forma di riduzionismo, oltre l’antropocentrismo, oltre la specie, oltre il genere e la razza, per riconoscere il valore positivo dell’alterità e della differenza, indagando inedite possibilità e collaborazioni.

Risulta evidente che i diversi attori che popolano il sistema culturale preso in esame da questo articolo, compongono un insieme di realtà estremamente eterogenee, per modalità di configurazione, per capacità di interagire e di incidere, per obiettivi e, soprattutto, per i destinatari cui si rivolgono.

Sebbene sia ormai invalsa l’idea che l’arte sia motore di innovazione, cambiamento e progresso collettivo o che uno dei suoi ruoli sia quello di cogliere e farsi portavoce di istanze comuni e di mettersi in relazione con la collettività, credo non si possa ridurre la sfera di implicazioni che questi concetti sottendono.

Se riconosciamo che nella maggior parte delle realtà citate il pubblico sia una componente attiva e partecipante di un processo creativo dalla chiara connotazione sociale, corale e inclusiva, dovremmo esaminare anche cosa intendiamo per comunità, per capire che di essa non esiste solo una definizione astratta, oggettiva, senza un’anima. È proprio la diversificazione di queste realtà che ci porta a verificare come il concetto di comunità sia in realtà ambiguo e, di conseguenza, come emerga la sua natura molteplice, eclettica e poliedrica. L’impatto che l’arte può generare nella società, non è solo nella possibilità di innescare un diverso modo di abitare i territori, ma nella capacità di analizzare, studiare, integrare e sviluppare la comunità di individui cui si indirizza, facendo particolare attenzione a come questa è configurata. Gli artisti, in questa congiuntura, si inseriscono come attivatori di comunità, per fondarle, crearle, arricchirle o collaborare alla definizione delle loro identità.