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panorama

Zeroottouno

Giuseppe Guerisi (Cinquefrondi 1984); Davide Negro (Catanzaro 1985)

Vivono e lavorano a Villa San Giovanni e a Milano

Studio visit di Marcello Francolini

maggio 2022

Zeroottouno è un collettivo composto da Davide Negro e Giuseppe Guerrisi. Insieme hanno condiviso gli anni della formazione accademica a Reggio Calabria, dove una graduale attenzione al lavorio tecnico e all’uso alternato di procedimenti tradizionali e tecnologici, li ha portati oggi a spaziare il loro operato, dalla ceramica, alla scultura, alla meccanica, all’elettronica, alla fotografia, antropologia e geografia. Ma ci tengono nel dire che non sono esperti di tutte queste cose, semplicemente che la specializzazione dei saperi ha disperso l’unità del pensiero, e per questo bisogna ricercare l’analogia, il simbolo, per aprirsi vie traverse e riconnettere il sapere, la natura stessa. Heart Earth (2018) è un’opera ambientale disposta nel parco Messiapico in Puglia (A-Head Art Project 2018), una scritta a neon, blu come gli sbuffi del gas naturale visti in controluce col sole allo zenit. Il gas è ciò che per analogia fluisce nel cuore che, come organo, trapassa nel movimento di titolazione dal corpo al Pianeta. La lettura stessa qui si pone come attività trasformativa che produce senso nell’atto stesso di visualizzarlo.

Un collettivo, d’altronde, esprime un nome che è più come una descrizione o qualità dei componenti in senso metaforico o simbolico o criptico. Zeroottouno richiama a una lettura d’inversione di Centoottanta, che se consideriamo in termini di gradi, potremmo considerarlo un “angolo visuale”, come il piano d’orizzonte o come l’altra metà che sta da lì rispetto a questa metà qui, la realtà da un lato e dall’altro la realtà dell’arte, l’altra metà dello specchio. In un modo o nell’altro. Sarebbe il caso di dire, che è questa la cifra più apparente delle loro opere. Guardandole, dovremmo sempre domandarci, a proposito di cosa sono? D’altronde il loro è un lavoro meticoloso sul segno iconico, al punto che sembra sempre più sottrarsi sino alla resilienza alfabetica. Ma il segno iconico è indipendente dal mezzo con cui viene esplicato, ed ecco che la loro pratica varia dalla scultura all’opera ambientale. Nell’operazione Progetto Atelier #4 (MACRO ASILO 2019) vi è l’esternazione di un meccanismo di simbolizzazione per cui è richiesto allo spettatore di ricostruire il processo che dall’alberello di faggio conduce alla segmentazione di segni che si dispongono come un alfabeto naturale. Per la disposizione di almeno due elementi con specificità proprie, l’alberello e il neon, la composizione generale va letta come una proposizione linguistica la cui verificabilità resta determinabile da spettatore a spettatore, e quindi aperta. Lo stesso ausilio del neon, in un certo senso, svincola il linguaggio verbale dalla pagina e diventa un mezzo di pura riduzione concettuale, capace di comprimere in un’unica dimensione, la forma e il contenuto della rappresentazione, come avviene in interventi successivi come Hic et nunc (2020). Qui non si ha più bisogno di costruire una forma, ma semplicemente di denotarla, così ridiscendendo l’azione dell’opera a quella della parola. Come accade ancora in Unknown Sign (2018-2021). Quest’ultimo progetto, non ancora concluso, segna uno spostamento dall’ausilio della simbologia classica agli attuali processi di simbolizzazione iconica, come nel caso dei linguaggi cifrati del “mondo della criminalità”. In definitiva il mondo della criminalità da sempre sembra condividere con il “mondo dello spirito” e il “mondo dell’arte” la produzione di segni iconici il cui unico scopo è di rimandare a significati da mantenere occultati ai più. Nel caso specifico dell’opera, si è prodotto uno studio concreto sulla comunità rom di Arghillà (RC) e sulla loro pratica, molto diffusa in Calabria, di segnare le porte delle abitazioni con dei simboli. Ma il tentativo di decifrare i significati è stato condotto con lo scopo di convertire il senso stesso delle parole da messaggio criptato alla comunità, a messaggio aperto alla comunità, perciò “Casa già visitata” diviene My House Has Just Visited (Unknow Sign #3, 2019). Per riassumere questa ricerca sul segno iconico, potremmo pensare per analogia all’esempio teatrale per eccellenza, quello di un uomo ubriaco, esibito per dimostrare la necessità della temperanza, descritto dal grande maestro della semiotica Charles Sanders Peirce nei suoi Collected Papers (1997). Questo metodo risulta alla prova critica ben saldo, ma molto focalizzato sul proprio territorio d’origine che funziona come banco di prova, ma poi bisogna costruire un metodo capace di adattarsi all’analisi di altri territori e luoghi su un piano via via più globale.