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panorama

Verdiana Bove

Roma 1996

Vive e lavora a Roma

Studio visit di Nicolas Martino

Verdiana Bove, pittrice, ha studiato all’Accademia di Belle Arti, prima alla Rufa e poi a via Ripetta. È una delle fondatrici e animatrici di Condotto48 ‒ uno degli spazi indipendenti che negli ultimi anni hanno ravvivato la scena romana ‒ dove cinque artisti e un curatore condividono gli studi e un progetto creativo che comprende una serie di momenti espositivi dedicati a giovani ‘esterni’ allo spazio stesso. Recentemente ha partecipato a una interessante mostra collettiva da 1/9 unosunove, Figure Out, che presentava il lavoro di cinque giovani pittori, tutti nati negli anni Novanta, e a primavera terrà una personale a Le Nuove Stanze di Arezzo, a cura di Simone Zacchini.

Pittrice, abbiamo detto, e non a caso, perché per Verdiana Bove la pittura è una scelta precisa, una vocazione potremmo dire, che caratterizza fino in fondo la sua pratica artistica. In questo senso Verdiana condivide una linea comune che ormai sembra emergere con sempre maggiore forza nella generazione dei venti/trentenni, quella di una militanza pittorica che fa di questo linguaggio non “un” mezzo, ma “il” mezzo attraverso il quale entrare in relazione con il mondo. E come per altri suoi coetanei, a differenza di quanto successo per una generazione di trenta/quarantenni che ha fatto dell’installazione e della performance il dispositivo di un impegno artistico-politico, la pittura è intesa come linguaggio intimista, volto a raccontare poeticamente un proprio mondo privato, fatto di quotidianità e piccole cose, domestico e familiare, autobiografico e affettivo. Ecco allora che in tele di grandi dimensioni, o più contenute, realizzate attraverso una stratificazione successiva di colori, compaiono figure quasi fantasmatiche legate al vissuto dell’artista, in composizioni quasi sempre divise in due, tra una zona superiore dalle atmosfere ‘rarefatte’ e ‘celesti’, e una inferiore più ‘materiale’ e a volte ‘infera’. Un lavoro sulla memoria risolto sempre con colori tenui, mai squillanti, che si fa analisi esistenziale e che probabilmente si potrebbe collocare, anche qui come in altri casi, dentro una sorta di “nuovo realismo esistenziale”.

Quella di Verdiana Bove è una pittura che ha guadagnato in qualità e originalità nel corso del tempo, e sembra ora maturare sempre più velocemente insieme con la sua autrice, arrivando a una riconoscibilità che raggiunge esiti sempre più interessanti. Certo, la vivacità di questa esperienza si deve anche alla giovane età, ovvero a quella caratteristica generazionale a cui facevamo riferimento poco fa. È vero che possiamo parlare di un nuovo ritorno alla pittura – come già accaduto alla fine degli anni Settanta e negli anni Novanta del XX secolo ‒, ma questa nuova ‘onda’ si distingue per quello che potrebbe definirsi un bisogno di concretezza tutt’affatto particolare. Ovvero, è proprio quando la realtà si fa sempre più astratta e le relazioni sociali diventano virtuali, è quando tutto ciò che è solido svanisce nell’aria, che nasce il bisogno di un linguaggio concreto come quello della pittura. E, certo, è interessante anche il coté particolarmente intimista che sembra risolvere il mondo nel privato delle singolarità, ma che a ben vedere potrebbe essere il sintomo di un malessere politico che fa di quello domestico l’unico spazio veramente praticabile, senza però cancellare il bisogno di socialità. È qualcosa che si può riscontrare anche nella pratica degli spazi collettivi così caratteristici delle giovani generazioni, dove spesso non si condivide un manifesto artistico-politico, ma si esprime un bisogno di stare insieme per creare occasioni e uscire dalla solitudine. Insomma, quasi un bisogno di fare banda più che tribù, con un carattere difensivo più che offensivo.

Se quello che abbiamo davanti è un lavoro che senz’altro sta guadagnando in qualità e originalità, bisogna però ricordarsi che il mondo dell’arte è mobile e l’attenzione per questa nuova pittura potrebbe scemare. In questo caso agli artisti che hanno scelto questa strada impervia, saranno richieste doti non comuni di resistenza e capacità di reinventare dall’interno il proprio linguaggio.

Foto Francesca Pascarelli