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panorama

Tommaso Fiscaletti

Cattolica 1981

Vive a Città del Capo, Sudafrica

Studio visit di Angel Moya Garcia

La ricerca di Tommaso Fiscaletti si focalizza su tematiche esistenziali come la relazione tra esseri umani e la consapevolezza che essi hanno dello scorrere del tempo, della natura e dell’universo. Parte essenziale del suo rapporto con l’immagine sta nel dosare attentamente la finzione all’interno di situazioni, di ambienti e paesaggi reali, principalmente attraverso l’utilizzo della luce. La fotografia analogica è il suo medium principale, svincolata però da ogni limite per poterla intrecciare ad altri linguaggi come quello installativo.

Dal 2001 inizia a occuparsi di fotografia in studio e realizza anche reportage tra il nord Africa e l’est europeo. Qualche anno dopo il suo lavoro si evolve in un linguaggio differente, con il fine di raccontare l’uomo in rapporto all’ambiente in cui vive. Attraverso ritratti e paesaggi, l’esigenza diventa quella di mettere in luce la realtà a un livello più intrinseco. Ricerca le risposte iniziando proprio da sé stesso, dai suoi affetti, realizzando progetti come All Over Me e Suspended Intimacy. Qui l’intento è decifrare, attraverso la fotografia, le complesse strutture dei rapporti interpersonali. La messa in scena, la teatralità sono finalizzate alla comprensione dei personaggi, spesso parenti o amici. I suoi lavori raccontano costantemente di un inevitabile presa di coscienza dell’uomo nei confronti della natura e questo aspetto è stato potenziato dal suo trasferimento nel 2013 a Città del Capo, in Sudafrica.

Sappiamo che oggi la fotografia è usata (e abusata) pressoché da tutti e che vive di sperimentazioni e circuiti che la rendono in molti casi sensazionalistica, tranne in rari casi in cui la profondità, la potenza emotiva e l’apertura delle narrazioni la portano nell’ambito del poetico, della ricerca sul campo e della suggestione del sublime. È il caso del lavoro di Fiscaletti che, influenzato dall’estetica del cinema e particolarmente attratto dalle atmosfere e dallo studio della composizione, guarda lateralmente il lavoro di artisti e fotografi che pur operando su terreni molto diversi dal suo, lo ispirano per la loro visionarietà, tra questi Steve McQueen, Ragnar Kjartansson, Alfredo Jarr, Wolfgang Tillmans, Stephen Gill e Ciprien Gayllard.

Fino al 2022 ha collaborato con Nic Grobler a un progetto a lungo termine: Hemelliggaam or the Attempt to Be Here Now, un archivio visivo composto da fotografie, video e installazioni, che esplora gli aspetti esistenziali del rapporto uomo-ambiente-astronomia. Il progetto, che ha richiesto sei anni di produzione e il coinvolgimento di un gruppo di scienziati e antropologi, ha intrecciato la realtà di importanti siti scientifici (come il South African Large Telescope a Sutherland e lo Square Kilometer Array a Carnarvon) e i frammenti fantasiosi di vecchi romanzi di fantascienza afrikaans. Lo studio dell’origine dell’uomo parte dal meeting point del Sudafrica per diventare un progetto diviso in tre capitoli. Nel primo, soggetti, paesaggi e atmosfere fanno emergere una relazione con gli astri che si estenderà poi nel resto del progetto e nelle sue varie narrazioni. Nel secondo capitolo però, questa relazione si sposta anche sotto ai nostri piedi, andando a rappresentare, tra i vari contenuti, l’impatto che gli astri hanno avuto sul nostro pianeta, mostrando crateri e buchi (alcuni di questi tra i più profondi al mondo). Nel terzo capitolo, si scrutano i corpi celesti attraverso still life fotografici di determinati oggetti naturali raccolti nei viaggi. Questi vengono accostati a videoritratti di esseri umani, osservati nel loro essere semplicemente ‘creature’, corpi celesti. Il rapporto tra scienza e fantascienza emerge attraverso la letteratura locale (fantascienza afrikaans sviluppata come sottocultura diffusa in Sudafrica fin dagli anni Venti) per parlare della condizione umana e la messa in discussione della visione della realtà e di quello che interpretiamo come oggettivo. In questo senso, l’inserimento della finzione viene legittimata dal tentativo di approfondire la conoscenza dell’uomo attraverso la scienza. Una declinazione importante di questo lavoro sta nel collegare le fotografie con altri media per comporre un’installazione che, attraverso la somma di reperti, citazioni e oggetti, possa unire il tempo e gli spazi e connettere le informazioni per fare ordine nel caos. In questo senso, si evince la necessità e l’attitudine di Fiscaletti di raccogliere e di portare in un luogo differente gli elementi, ricontestualizzare gli oggetti per contemplarli sotto una prospettiva diversa. Raccogliere come atto istintivo, magico, fisiologico.

Un aspetto particolarmente interessante è come i libri in afrikaans sulla fantascienza gli venissero raccontati oralmente dal suo collega Nic Grobler, e come, di conseguenza, l’interpretazione delle storie passassero attraverso il suo filtro. In questo senso, così come capita spesso nelle traduzioni letterarie, bisogna interrogarsi su quanto sia valida una determinata interpretazione rispetto al testo originario o quanto il traduttore abbia alterato la versione originale caricandola o inserendo un retaggio culturale diverso rispetto al contesto in cui i fatti sono realmente accaduti. Rimane, come nel caso degli antropologi, sempre il rischio non scontato dello sguardo colonialista da parte di coloro che si approcciano a un contesto diverso dal proprio nell’intento di studiarlo da una prospettiva diversa. Nel caso di Fiscaletti, l’approccio rispettoso e approfondito in relazione al contesto locale, insieme al fatto di raccogliere immagini, parole e pensieri attraverso video, registrazioni o testi gli hanno permesso di esplorare i luoghi, viaggiare e raccontare le suggestioni per fondere la natura con la rappresentazione. Nei suoi lavori, l’importanza dell’iconografia, la modalità di rappresentazione e la tipologia di racconto delle immagini supera il localismo per diventare universale. Così, si evidenza la possibilità per l’osservatore di vivere i progetti senza necessità di ulteriori informazioni, diventando questi autosufficienti da un punto di vista narrativo.