Cerca
Close this search box.

panorama

Stefano Spera

Monza 1983

Vive e lavora a Monza

Studio visit di Francesca Guerisoli

Dopo sette anni a Lissone, un anno fa Stefano Spera si è trasferito a Monza. Per lungo tempo ha condiviso lo studio con Giuseppe Buffoli e Danilo Volo, nel quartiere Isola di Milano, artisti con cui ha anche condiviso progettualità.

Stefano Spera è tra gli artisti che indagano il rapporto tra reale e virtuale da quando non esisteva ancora il metaverso. Parte di quella generazione di mezzo nata nell’analogico e che ha avuto la possibilità di vivere consapevolmente il passaggio al digitale, oltre dieci anni fa aveva già sperimentato gli universi virtuali, eleggendo a suoi riferimenti culturali privilegiati Jean Boudrillard e Marshall McLuhan. Tra i progetti realizzati, figura una mostra completamente digitale, Perspective (2012), alla Galleria Cart di Monza, che consisteva nella creazione di un mondo ibrido composto da spazi virtuali monzesi esplorati con il suo avatar in Second Life e uniti, attraverso la memoria, nella dimensione della pittura, restituendo paesaggi distorti e imprecisi che contrastavano con la dimensione del virtuale, dove tutto è preciso, pulito, perfetto. Lo spazio della pittura, arcaica, riflessiva, diventa un momento di raccordo, una dimensione sospesa in cui reale e virtuale si incontrano.

Questa tensione di ricerca tra reale e virtuale, digitale e pittura emerge costantemente nel suo lavoro così come nelle mostre, che chiamano sempre in causa la percezione e la sua distorsione. Spera crea tavole che hanno l’obiettivo di creare uno sfalsamento nello spazio dell’opera, con l’ausilio di effetti prospettici che distorcono lo spazio reale. L’uso del grigio è funzionale a contestualizzare la dimensione del virtuale. Per esempio, nel lavoro Virtual Museum, MOMA #2 (Snapshot), del 2014, attraverso esplorazioni in Google Street View presso vari musei, Spera restituisce la dimensione virtuale alle opere d’arte: il pubblico può visitare gli spazi che rappresentano una mostra che c’è stata. L’aspetto della documentazione, e come tale documentazione viva attraverso la rete, è un altro elemento di attenzione: «Quello che oggi c’è sulla rete ha quasi più valore di ciò che c’è stato. Se è documentato in rete, esiste; facciamo più affidamento su questo che non sulla memoria». Questa nota mi ha riportato alla mente uno spettacolo teatrale appena visto al Piccolo Teatro, Carbonio, di Pier Lorenzo Pisano, vincitore del 56° Premio Riccione, che esprimeva proprio tale considerazione: non so più cosa ricordo, perché ho visto così tanti video di documentazione che quella è divenuta la mia memoria. Al MAC di Lissone, nel 2015, con l’installazione G.A.P., nella mostra Out of Frames, Spera aveva lavorato a livello digitale sulla memoria di una mostra precedente, di Francesco Fossati, ricreando l’ombra delle strutture che aveva generato il suo lavoro.

I suoi lavori precedenti sono più narrativi rispetto agli attuali, che appaiono più criptici, come la sua ultima personale, Anchor Points, tenuta a Udine presso la galleria SMdot a novembre 2021, tutta giocata sulla figura di Hermes, messaggero che oggi rappresenta simbolicamente la rete, nonché divinità che protegge gli affari (quindi la fonte, e ancora la rete), e come Tanto qualcosa ti resta addosso, progetto realizzato nel 2018 da Villa Arte Contemporanea con la collaborazione dell’artista Giuseppe Buffoli, che si interroga sull’esperienza estetica mediata dal virtuale in relazione alle possibilità e ai limiti della pittura. Nelle ultime mostre entrano in gioco elementi fisici, virtuali e temi filosofici e finanziari che restituiscono la complessità di un ragionamento che negli anni è andato sempre più in profondità, di pari passo con l’evoluzione dei mondi virtuali e la diffusione delle criptovalute. Nel decennio scorso la tecnologia era vissuta ancora con distacco, mentre oggi è più integrata e il linguaggio dell’artista ripercorre questo solco. Allo stesso modo, se nel 2011 Spera era tra gli artisti della collettiva Neoludica. Art Is a Game. 2011-1966, prima mostra di videogiochi approdata come evento collaterale della Biennale di Venezia, sul rapporto arti visive e videogioco, oggi dai videogiochi l’indagine si sposta sugli NFT. Si tratta, per Spera, di un’evoluzione logica del suo lavoro, sebbene si accosti a questi ultimi in modo critico, soprattutto in relazione al tipo di mercato che si è sviluppato: «Per me è una grande bolla speculativa. Chi compra non è il classico collezionista, alcuni sono legati al mondo delle criptovalute e credono in quel tipo di prodotto. Se decidi di entrarci, devi farlo con una serie, non con un singolo lavoro». Non ci rimane che attendere di vedere che cosa ci proporrà un artista con un’esperienza così profonda sulla relazione tra realtà e virtuale.