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panorama

Stefano Giuri

Neviano 1991

Vive e lavora a Firenze

Studio visit di Angel Moya Garcia
marzo 2022

Lo studio visit inizia con il racconto della prima opera che Stefano Giuri aveva inserito nel suo portfolio e che non hai mai tolto perché si collega a tutto quello che ha fatto successivamente, allontanandosi, ma ritornando ogni volta. Si tratta di Repository, un lavoro composto da 36 scatole di cartone in cui aveva ‘rinchiuso’ tutta la sua stanza. Un monumento temporaneo che ha dato il via a una pratica con cui analizza le connessioni e i rapporti tra i concetti dello spazio pubblico e privato, tra la memoria collettiva e individuale, per affrontare, attraverso di essi, problematiche sociali attuali legate ai luoghi in cui opera. 

Per l’artista pugliese, ma toscano di adozione, i monumenti temporanei sono un modo di ripensare la memoria, evidenziando le tracce che emergono dai frammenti di storie o di oggetti che hanno una narrazione ancora da sviluppare. Ad esempio, il lavoro Bad King, consisteva in due busti di Mussolini che venivano sequestrati, prelevandoli dall’archivio in cui si trovavano, portati in un autoscontro di un luna park e riportati nel luogo di origine la mattina dopo. Il lavoro A tu per tu con Tutankhamon si inseriva come un momento di condivisione pensato in relazione a un tempo presente. From Here to Eternity metteva in luce la caduta del blocco sovietico, la relativa rimozione di numerosi simboli testimoni dell’ideologia comunista e la conversione della materia di cui erano fatti, ritenuta proficua per altri fini. Infine, Sono palloso, politico e statuario, era l’autoironica declamazione che l’autoritratto di Giuri rivolgeva dal balcone della monumentale facciata della Manifattura Tabacchi a chi entrava.

Nel dibattito più recente sono diventati imprescindibili gli argomenti legati alla memoria e alla tutela o la rimozione di monumenti e simboli del passato, il tema della memoria collettiva rispetto alle estetiche dell’egemonia e l’idea dei monumenti intesi come simboli del potere, ma anche come medium principale attraverso il quale questo potere si esprime. In questo contesto i racconti clandestini, gli oggetti e i segni che Stefano Giuri fa emergere diventano gli elementi di rappresentazioni che chiamano in causa i riti, le celebrazioni e le forme caratteristiche del paesaggio figurativo occidentale. Questi aspetti si inseriscono in alcune correnti dell’arte internazionale degli ultimi trent’anni nell’approcciare la materia del potere, le sue forme, le sue narrazioni e le sue alternative.

Mentre negli ultimi quattro anni ha realizzato un solo lavoro per anno, con una produzione molto sostenuta anche per le tempistiche dilatate della sua ricerca prima di arrivare alla formalizzazione, attualmente sta lavorando parallelamente a più progetti. In particolare, quello più impegnativo trova origine e spunto di riflessione nella progettazione dei razzi postali in Germania, Austria e Italia intorno agli anni Quaranta. L’artista stesso ha iniziato a raccogliere nitrato di potassio con cui sta realizzando delle sculture. Un materiale che prima veniva usato come propellente solido per razzi a bassa frequenza, presto sostituito a causa degli incidenti catastrofici da esso provocati e che oggi viene impiegato principalmente solo per razzi amatoriali. Un altro dei progetti lo vede coinvolto in una collaborazione con persone affette da gigantismo, condizione che consente loro di rompere i parametri del monumento, essendo essi stessi monumenti.

Di fronte ad altre ricerche sullo spazio pubblico, sul contesto sociale, sulle dinamiche gerarchiche o sulla legittimazione del potere o della rappresentazione di esso, il lavoro di Stefano Giuri potrebbe rivelarsi più debole sia per una formalizzazione meno spettacolare rispetto a nomi più conosciuti sia, soprattutto, per una carenza di incisività nello studiare in modo complessivo il monumento come elemento di rappresentazione collettiva.

Nel suo caso, però, l’urgenza non è incentrata sul monumento in sé, ma sulla storia che potrebbe trapelare, su quei racconti clandestini speso trascurati o ignorati. Di conseguenza il suo lavoro si pone come una forma di contro narrazione che contiene in sé la possibilità di una rottura della continuità ufficiale. Una riflessione sulla criticità della memoria collettiva, sulle estetiche del potere, sulle forme di una narrazione alternativa attraverso le storie parallele che dopo un’attenta ricerca possano venire a galla.