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panorama

Silvia Capuzzo

Merano 1996
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Angel Moya Garcia

Laureata in Pittura e arti visive contemporanee all’Accademia di Belle Arti di Urbino e con un’esperienza di Erasmus all’Akademie der Bildenden Künste di Norimberga, Silvia Capuzzo ha vinto il premio Surprize al Centro Arti visive Pescheria di Pesaro nel 2020 e il premio Lissone per la pittura del MAC nel 2021. L’esperienza in Germania, avvenuta durante il lockdown, ha portato a una trasformazione della tecnica tradizionale dell’olio su tela verso una pratica più personale, in cui l’olio viene saturato con ingenti quantità di allumina o di amido di mais, dipingendo in orizzontale e creando una complessa stratigrafia di livelli sui quadri. Sappiamo che l’allumina è abbastanza stabile durante i tempi di essiccazione dell’olio, mentre l’amido di mais è estremamente instabile, creando cristallizzazioni, fioriture e ingiallimenti a seconda dell’umidità o della temperatura, condizionando il risultato formale dei lavori. Nella maggior parte della sua produzione questa saturazione e la stratigrafia di livelli agiscono sull’atmosfera generale, sull’ambientazione, scaldando e modificando l’aria intorno ai soggetti rappresentati, generando un progressivo incupimento. Una sensazione amplificata dallo strato di bitume che la pittrice usa spesso per trasmettere in modo più incisivo la percezione di inquietudine, di aggressività del tempo nei confronti della realtà, di polvere che si deposita e che denota l’inesorabile invecchiamento di ciò che viene rappresentato. I soggetti sono generalmente persone che dimostrano apatia, indifferenti rispetto a una quotidianità vissuta con insofferenza, che non fanno nulla, che giocano con niente, perdono tempo senza rendersene conto. Spesso vediamo solo le loro mani impegnate in gesti specifici ma privati dei riferimenti all’azione che stanno compiendo. Gli elementi che compongono il quadro sono uniti da un’unica pennellata continua e nelle ripetizioni di linee che si intersecano si riconosce un’angoscia, una tensione delineata, tuttavia, con una forte dose di ironia. In questo senso, la visione della realtà di Silvia Capuzzo mette in luce la sostanziale solitudine dell’uomo di fronte alla Storia e alla natura e il conflitto che ne scaturisce. Anche se apparentemente isolato, il suo lavoro rientra a pieno tra quelle ricerche che trovano nella trasformazione un momento fondante di una riflessione esistenziale condotta attraverso forme e processi aperti che evitano ogni forma di staticità, ristagno o immobilismo. Uno sguardo sul mondo esterno che si contrae verso una sfera intima diventando una lente di ingrandimento per percepire o descrivere un presente e un futuro incerti, dai contorni sbiaditi e precari. Libera da ogni riferimento teorico che possa condizionare o decodificare a priori la lettura dei suoi lavori, il tentativo di Silvia Capuzzo è quello di originare uno stato emotivo preciso in chi guarda, indipendentemente da condizionamenti intellettuali. Una chiamata ad aprirsi emotivamente davanti al lavoro che possa, successivamente, influenzare il modo di osservare il mondo.

Attualmente ha in corso una mostra nella Galleria Vin Vin di Napoli, dal titolo Underwords, in cui si relaziona con la città sotterranea attraverso lavori che si sviluppano come un continuo di linee, pennellate che assomigliano a tunnel scavati, soggetti che sembrano vermi che strisciano o intestini. Ha appena partecipato a una collettiva intitolata Sottopalco, in un teatro di Lambrate, con un dipinto che riproduce il movimento di mosche che sembrano guidate nella loro traiettoria dall’equazione di Bernoulli, metafora della ripetizione ossessiva di un gesto che diventa rituale.

L’incertezza del risultato finale, l’imprevedibilità cui sottopone la propria pratica pittorica, soprattutto a causa delle tecniche di saturazione introdotte, potrebbero causare una certa perdita di controllo e di intenzionalità. Di certo, la consapevolezza tecnica può solo aumentare con l’esperienza, portando in futuro a risultati sempre più solidi.