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panorama

Sergio Racanati

Bisceglie 1982

Vive e lavora a Bisceglie

Studio visit di Angel Moya Garcia
giugno 2022

La ricerca di Sergio Racanati si sviluppa attraverso l’analisi delle molteplici relazioni, idee ed esperienze che generano connessioni con la fragilità dell’essere umano, affrontando processi comunitari. In questo quadro, la sua pratica guarda alla sfera pubblica e agli immaginari collettivi come luoghi di indagine privilegiati. Alla base della sua ricerca vi è un interesse per le scienze sociali, per gli eventi storici, per la cultura popolare e la cultura di massa, visti attraverso una lente quasi etnografica. Questa modalità l’ha portato a costruire un insieme organico di opere, volti a rappresentare un modello di archivio inteso come dispositivo che negozia, contesta e avvalora il potere sociale, ma anche che ne modella la memoria collettiva.

Sergio Racanati – con un background da attivista politico antagonista – ha affidato la sua resistenza alla raccolta, intesa anche come raccolta di detriti, rifiuti, scarti, abbandoni. I suoi film sono delle meta-narrazioni in cui il margine e la marginalità diventano prima di tutto i soggetti narratori e, solo in secondo luogo, oggetto di narrazione. Lo spettatore diventa attore, partecipante attivo del processo, tanto da confondere il confine privato/pubblico alla ricerca della catarsi e/o dell’estasi. In questo senso, il risultato di molti dei suoi progetti è la creazione di spazi multidisciplinari, piattaforme di pensiero, modelli di pratiche antagoniste e spazi per nuove comunità. Quindi, il suo approccio è basato su un modello sperimentale di creazione di situazioni ibride attraverso una complessa matrice di appropriazione, scoperta di siti e creazione di ambienti transitori, flessibili e in continua evoluzione, in cui la ricerca diventa spesso condivisa e l’opera d’arte mette in crisi la stessa autorialità a favore di un processo corale e collettivo.

Il suo lavoro si inserisce in quelle pratiche context e time specific che si immergono in contesti complessi, come alcune comunità remote del Brasile o dell’Argentina, in cui poter osservare quello che accade. Allontanandosi dalle narrative occidentali si concentra su ambiti marginali, registrando le disparità politiche e sociali. Nella sua pratica è fondamentale il rapporto tra aree geografiche remote e le comunità e i processi della polarizzazione globale-locale che cercano di definire un nuovo rapporto ecologico tra natura, cultura e mondo. La mobilità, la malleabilità e la flessibilità che caratterizzano la sua ricerca e formalizzazione sono variazioni su un tema che adatta al contesto sociale e politico di un determinato territorio, sperimentando insistentemente la messa in discussione del potere. All’interno di queste comunità, realizza attraversamenti viscerali, evitando lo sguardo voyeuristico o documentaristico, per registrare la realtà, privilegiando le restituzioni attraverso modalità fluide come talks, lectures, laboratori, conferenze o incontri in cui dare ascolto alle voci sommerse. Anche nelle formalizzazioni filmiche, performative e installative l’elemento di transitorietà è ben presente.

In questo momento Racanati è impegnato nella definizione degli ultimi dettagli di un lavoro filmico, WOK/WAJAN, per la RuruHaus, ideata dal collettivo di artisti e creativi indonesiano Ruangrupa, che dirigerà Documenta XV. In particolar modo il suo lavoro si concentra sulla registrazione di elementi periferici della città di Kassel, evidenziando i contrasti, le sfumature e le zone grigie che segnano una notevole differenza nella percezione della vita culturale e sociale della città durante la manifestazione, rispetto alla normalità dei tempi in cui è fuori dai circuiti dell’arte contemporanea. Il progetto ha un approccio sperimentale, in cui la narrativa lineare viene sfidata a favore di un susseguirsi di microstorie che lasciano lo spettatore in totale libertà di viaggiare in uno spazio/tempo sospeso. È un’indagine che parte dall’ecosistema RuruHaus e si espande, in relazione con quello della città di Kassel. Il film pone l’attenzione sui margini del mainstream, sui fenomeni e sugli oggetti considerati invisibili, di scarsa rilevanza, i quali divengono rivelatori del subconscio individuale e dell’inconscio collettivo. Il film è composto da situazioni ibride attraverso una complessa matrice di appropriazione, scoperta di luoghi, frammenti e soggettività.

Sicuramente uno dei rischi più grandi della modalità di lavoro di Racanati è quello di cadere nella trappola dell’estrattivismo culturale, «l’invisibilizzazione delle fonti collettive, sociali e dialogiche nella costruzione della conoscenza ed appropriazione del pensiero e del sapere da parte delle gerarchie accademiche e dei dispositivi del potere epistemico», per dirla con Marco Guastavigna. Un possibile sguardo culturale colonialista che non può prescindere dai pregiudizi culturali o dai filtri che possediamo per analizzare, registrare e osservare culture completamente diverse da quella in cui siamo nati e cresciuti. Tuttavia, la sua preparazione psicofisica, lo studio del contesto e delle comunità con cui entra in contatto, insieme alla sua sensibilità, gli permettono quasi di azzerare questi pregiudizi per arrivare a porsi in una modalità che se non del tutto neutra, arriva però a collocarsi come un soggetto poroso che può ‘ricevere’ e allo stesso tempo ‘rilasciare’. Accettando la pedagogia del desiderio definita da Rubem Alves e seguita in ambito italiano da Cesare de Florio La Rocca, il padre dell’Arteducazione, il suo lavoro si concentra sulla formazione, intesa non come processo univoco che vede contrapposti ‘chi insegna’ e ‘chi impara’, bensì come il frutto di una circolarità come unica strada verso la conoscenza. Una circolarità che per l’artista pugliese diviene elemento nevralgico della propria metodologia di lavoro e, come lui stesso la definisce, rizomatica.

Foto Daniela Trincia
Courtesy l’artista e CAPTA