Cerca
Close this search box.

panorama

Serena Fineschi

Siena 1973

Vive e lavora a Siena e a Bruxelles

Studio visit di Angel Moya Garcia

Serena Fineschi ha studiato presso l’Istituto d’arte Duccio di Boninsegna di Siena, ha proseguito la sua formazione in Grafica a Siena, Firenze e Milano e ha studiato Storia dell’arte contemporanea all’Università di Siena. È tra le fondatrici del progetto nomade Grand Hotel, dell’associazione culturale Fondaco e dell’associazione culturale MODO asbl.

Il lavoro dell’artista si fonda sullo studio della storia della pittura ed è caratterizzato da una costante ricerca sulla materia attraverso il metodo della sottrazione, in cui la ricorrente presenza fisica del suo corpo travalica i tradizionali processi performativi. In particolare, la sua ricerca è permeata da quattro ambiti di intervento come campi di azione: corpo, memoria, tempo, paesaggio e l’attenzione nei confronti della società, che definisce decadente, i quali si intrecciano senza soluzione di continuità, si accavallano e si sovrappongono nella ideazione, configurazione e formalizzazione di ogni singolo lavoro.

Non esiste motivo per voler trovare parallelismi o corrispondenze con correnti di pensiero o strutture formali del contemporaneo, anzi, gran parte del suo sguardo si orienta verso il passato e, in particolare, verso il Trecento senese o verso la pittura fiamminga. In questo senso, desacralizza senza presunzione i maestri del passato attraverso una riflessione sulla pittura che si declina in omaggi ironici, rimandi rovesciati, linguaggi viscerali, fisici e violenti o richiami estremamente delicati e sofisticati. I fondi oro dell’Annunciazione di Simone Martini e Lippo Memmi si attualizzano nelle carte luccicanti e dorate dei Ferrero Rocher; la Battaglia di San Romano di Paolo Uccello diventa una raffica di proiettili di carta masticata sparata con una cerbottana; La Madonna della Misericordia di Piero della Francesca o la Madonna dell’Umiltà di Masaccio, si riconfigurano unendo tecniche antiche (in questo caso l’acquaforte) con la contemporaneità dell’inchiostro a penna Bic; Duccio di Boninsegna o Taddeo di Bartolo vengono richiamati attraverso la corrispondenza con le dimensioni dei lavori originali e la realizzazione delle cornici ─ disegnate dall’artista ─ è ad opera degli artigiani locali con i metodi trecenteschi.

In questo momento Fineschi sta lavorando a un libro che raccoglie la sua ricerca degli ultimi dieci anni attraverso una narrazione non temporale, bensì per affinità, per collegamenti, per suggestioni tra i vari lavori. Parallelamente sta portando avanti una serie di stampe serigrafiche incentrate sulle parole non dette (della serie Sonata muta), sulle frasi che avrebbe voluto rivolgere a qualcuno e che non ha mai trovato il coraggio di esprimere, soffermandosi sulla cadenza e sul ritmo delle pause e ribadendo il silenzio, inteso come suono, di queste frasi. Un’altra serie (Forme di desiderio), è legata al desiderio intimo e segreto contenuto nel gesto di tirare monetine in una fontana, che diviene, di fatto, depositaria di sogni, aspirazioni, speranze che rasentano l’utopia. Qui, il desiderio si fa tangibile attraverso la pressione del corpo dell’artista, palesando nuove possibilità di compimento. Infine, Fineschi continua a esperimentare sulla serie Ingannare l’attesa, in cui il tempo improduttivo diventa tempo produttivo attraverso una serie di scarabocchi realizzati sempre in determinati momenti di attesa, segni circolari insistenti e continuativi che si plasmano sulla carta, ripetizioni sovrapposte che diventano viaggi fisici e mentali nei tempi sospesi.

Sicuramente il retaggio culturale del luogo di origine pervade e si impossessa del suo lavoro, creando ombre o fantasmi che potrebbero offuscare un affondamento incisivo dell’artista nel presente. In realtà, ci troviamo di fronte a un modo di operare estremamente raffinato, colto, sensibile e strutturato. Una ricerca coerente, sistematica e acuta in cui i riferimenti diventano un omaggio lontano, inafferrabile e sottinteso che immediatamente si dissolve per lasciare il campo al presente, mai ignorato d’altra parte. E proprio il lavoro sul corpo, su quel che rimane, consegna tracce, memorie e impronte in cui emerge un rapporto viscerale con la materia e con il presente attraverso il gesto, che diviene assunzione di responsabilità, urgenza condivisa.

foto Elena Foresto
foto Elena Foresto