Napoli 1982
Vive e lavora a Napoli
Studio visit di Angel Moya Garcia
17 novembre 2023
La contaminazione fra arti visive e composizione sonora, le continue collaborazioni con professionisti di altri settori e l’insistente sperimentazione tecnologica all’interno del processo produttivo dell’opera, emersi nello studio visit realizzato da Chiara Pirozzi, mi portano a tornare da Roberto Pugliese per approfondire come si è sviluppato il suo lavoro negli anni trascorsi, da quando abbiamo fatto l’ultima mostra insieme o da quando abbiamo discusso l’ultimo dei progetti a cui si stava dedicando.
La sua ricerca si concentra su processi sistemici in cui interazione, composizione e interdisciplinarità evidenziano il ruolo teoreticamente centrale dell’osservatore, attraverso l’indagine sulle relazioni che intercorrono tra spazio, suono e individuo. I suoi lavori, invece, agiscono sulle percezioni sensoriali attraverso componenti cinetiche che si avvalgono di particolari tecnologie e software e che hanno come esito installazioni complesse nelle quali si evince una particolare attenzione ai processi di estetizzazione del suono. Questi aspetti inseriscono Pugliese in una scena nazionale e, soprattutto, internazionale, in cui l’utilizzo delle nuove tecnologie non è più solo uno dei vari aspetti periferici nella composizione o nella presentazione dei lavori, bensì diventa centro nevralgico sia nell’ideazione che nella formalizzazione.
Sappiamo che la sound art è esplosa negli ultimi decenni come linguaggio all’interno delle arti visive, ma spesso troviamo compositori che si approcciano a una formalizzazione estetica del suono o ad artisti visivi che usano il suono all’interno delle proprie opere, non sempre con la consapevolezza o con la conoscenza necessaria. In questo ambito, l’aspetto concettuale, quello tecnico e quello estetico devono trovare un equilibrio che possa, da una parte, seguire le inclinazioni visive e, dall’altro, non screditare la componente sonora. In questo senso, vediamo come l’intenzione di Pugliese sia sempre stata quella di cercare questo equilibrio, in cui aspetto compositivo ed estetico seguono binari paralleli che si intrecciano senza soluzione di continuità e senza gerarchie di nessun tipo grazie agli elementi concettuali di congiunzione.
Tanti aspetti della sua ricerca sono andati avanti per un upgrade dovuto allo sviluppo di tecnologie come la stampa 3d o l’intelligenza artificiale. In termini embrionali le esigenze legate al processo di determinate tecnologie erano già presenti, motivo per cui alcuni lavori sembrano versioni aggiornate di lavori passati. Pensiamo per esempio a Equilibrium Variant, composto da due piccoli bracci meccanici che interagiscono mediante un sistema di feedback sonori rispetto alla nuova versione realizzata con bracci meccanici industriali prelevati dalle catene di montaggio della Kawasaki; oppure alle tessiture bidimensionali rispetto alle partiture grafiche cui sta lavorando ora, attraverso la giustapposizione di spartiti tradizionali ed elementi stampati in 3d che diventano scultorei e non solo grafici. In questi lavori troviamo una corrispondenza logico-matematica tra ciò che vediamo e ciò che ascoltiamo, attraverso un algoritmo creato dall’artista in cui ogni forma può essere tradotta in suono. Lo stesso approccio si può intravedere nell’ideazione di strumenti musicali aumentati, in cui vengono utilizzati inserti o inneschi di elementi stampati in 3d per potenziare le sonorità e scoprirne di inedite.
Sicuramente nella formalizzazione degli ultimi anni emerge l’esigenza di trovare un appiglio visivo e intuitivo che consenta al fruitore di decodificare il lavoro in modo immediato. Riferimenti fin troppo chiari o evidenti in cui l’estetica rischia di diventare sostituta o feticcio dei contenuti e che possono delimitare o circoscrivere fin troppo l’interpretazione delle opere. Allo stesso tempo, negli ultimi lavori, Pugliese continua a sentire il bisogno di un’iconografia classica come sottofondo, nonostante l’utilizzo di mezzi tecnologici contemporanei possa prescindere da essa e, anzi, il suo superamento sia ormai inarrestabile.
Tuttavia, nel lavoro dell’artista non c’è un intento iconografico nell’utilizzo di riferimenti classici, bensì tecnologico, poiché sfrutta le caratteristiche fisiche di ogni strumento. La sua ricerca sembra essere di fatto in una fase di transizione: la ricerca archeologica del suono, evidente nell’incisività dei primi lavori dove la sintesi formale e musicale era eclatante e di rottura, cede il passo a una sorta di continuità con il passato, di sedimentazione sonora in cui il presente non può prescindere del passato per arrivare a una vera e propria innovazione. La lacerazione compiuta nei primi anni, quasi una forma di insubordinazione nei confronti degli studi accademici, sembra ora ricomporsi, in attesa che nei nuovi lavori l’artista possa raccogliere tutta la maturità sonora e tecnologica accumulata in questi anni.