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panorama

Roberto Fassone

Savigliano 1986
Vive e lavora a Firenze
Studio visit di Stefano Coletto
19 marzo 2024

Il testo del primo studio visit di Angel Moya Garcia è denso, articolato e tocca molti aspetti essenziali della ricerca Roberto Fassone. L’incontro con lui nasce dal desiderio di ripercorrere insieme alcuni episodi del suo percorso e approfondire impressioni che mi diede anni fa, quando, giovanissimo, propose le sue prime formalizzazioni di un approccio analitico-linguistico alla pratica artistica che lo distinguevano da molti giovani coetanei.

Ci vediamo a distanza, attraverso il monitor; il suo viso, le cuffie, situazione straniante, perché è sempre lui, come nei video, nelle performance, nei playback; siamo dentro un lavoro?

Gli ricordo un episodio, che forse non gli piacerà. Un workshop alla Spinola Banna con Lara Favaretto che, in modo un po’ duro, gli disse «Perché invece di ragionare sui presupposti della produzione artistica non realizzi un lavoro vero?». «Un brutto ricordo… avevo 23 anni, fu una critica difficile da digerire, da parte di un’artista che stimavo tanto». Quella di Lara fu una reazione istintiva, che non coglieva l’intensità di una ricerca che si sarebbe sviluppata. Per capire il lavoro di Fassone si deve essere dentro quel percorso che, dagli anni Sessanta, ha mutato i linguaggi tradizionali, le articolazioni del concettuale, Art & Language, la svolta performativa tra corpo, video, voce; potremmo dire da Gino De Dominicis a Cesare Pietroiusti fino a Tino Sehgal. «La mia opera è la costruzione della sua stessa idea» (Joseph Kosuth) oppure, parafrasando, ogni tentativo di definire un’opera d’arte è un’opera d’arte, e così via.

I riferimenti sono tanti perché la ricerca di Roberto è uno studio degli artisti che ama. Il ludico, la fragilità, il nascondersi e, quindi, si possono mettere insieme Matteo Rubbi, Paola Pivi, la stessa Lara Favaretto e, perché no, Maurizio Cattelan che scappa dallo spazio, che si fa piccolo, che si nasconde, quasi per proteggere la propria sensibilità.

Il lavoro di Roberto Fassone sembra il dialogo di un corpo e una mente in scena: un training continuo. Si guardi il suo sito in questo periodo: canalizza spiriti ballando i Bud Spencer Blues Explosion.

Per me lui rimane, prima di tutto, l’artista di quella performance/lezione sui limiti, lui, con il suo rotacismo, senza utilizzare parole con la “r” (Lipogam 2011/2022). Quindi si parla dei limiti sfidando i propri. Analisi? Narcisismo? Sì, come ogni narratore, saggista, sceneggiatore, soltanto che qui entra il corpo. Cosa attiva il testo e il corpo? La musica. Quindi c’è energia che ci attraversa. «Quando faccio playback mi sento Dio… anche da piccolo era così». Guardandolo muoversi in Possedute mi viene in mente l’irruzione di Nico Vascellari, di quella fisicità; Roberto è il controcanto («Stefano, mi piace questa parola») che indica qualcos’altro; ri-progettazione della performance, decostruzione, finzione, forse distacco mente e corpo.

Il suo lavoro pare a volte un manuale di arte contemporanea; studio delle opere, operazione critica, un meta livello che spoglia, denuda, ironizza (ad esempio Lo scherzo dell’arte, Sciarade, il progetto con Valeria Mancinelli su performer trovati su youtube che sembrano simulare artisti noti).

Ecco, in alcuni casi l’analisi intelligente propone una didattica, che traccia percorsi, comunica complessità, ma sembra concludersi nella progettazione, anestetizzando il lavoro; stiamo ancora ‘analizzando’, e fino a che punto? Forse questa ambiguità diventa un limite per l’avvicinamento migliore alla sua ricerca.

Tuttavia, l’impressione è che l’attualità del suo approccio interroghi il ruolo dell’intelligenza artificiale e le sue metafore; ripenso a sibi, software per produrre opere. I suoi lavori sembrano dei meme, opera/non opera, cover… (Roberto, non ti ho chiesto se conosci questa pubblicazione Cover Theory a cura di Marco Senaldi). Ma il ludico è una cosa seria. Che cos’è questo nuovo progetto? Pretending to Be Pamela Colmon Smith. Illustratrice celebre,disegnatrice dei Tarocchi: per Fassone i Tarocchi sono risposte che arrivano dal ‘sentire’, da ciò che la razionalità non può prevedere; arriva una risposta, ti viene comunicata un’informazione, ma la ricerca è interiore (spirituale?). Ugualmente, una cosa è spiegarti il lavoro, una cosa è sentirlo, accedendo a delle vibrazioni. Canzone, stato d’animo, pensiero… siamo attraversati da energie. Ripenso a Chiara Fumai («Mi ha molto ispirato», dice Roberto). Il ludico potrebbe essere considerato un processo metaforico quale tentativo di regolare, di contenere in una forma ciò che scappa da tutte le parti; il pallone nel canestro che decide, Ball Don’t Lie; l’indeterminatezza che entra nella partita della vita (John Cage…): perché esistiamo, o forse, dove esistiamo veramente? Il non detto del controcanto.

Cosa stai leggendo? Metaphors We Live di George Lakoff and Mark Johnson.

Foto di Riccardo Banfi