Collettivo fondato nel 2018 a Taranto da Gabriele Leo, Gabriella Mastrangelo, Grazia Mappa, Peppe Frisino
Studio visit di Elisa Carollo
5 dicembre 2023
Post Disaster è un collettivo italiano interdisciplinare che ha deciso di abbracciare un’estetica ibrida, che estende la pratica artistica a pratica sociale e a laboratorio collettivo.
Lo spazio pubblico è una piattaforma privilegiata nell’agire estetico e progettuale. Tale spazio viene infatti definito e assume significato attraverso le persone che vi abitano, transitano, operano e ne assumo poi vera consapevolezza solo in momenti di rappresentazioni collettive, che offrono alla società una piattaforma per presentarsi, come da sempre con le sagre e le feste popolari, le processioni religiose, le occupazioni, le rivolte in strada e perfino i rave.
Nato da una serie di conversazioni e confronti su un rooftop del centro storico di Taranto, il gruppo è alla base di una sorta di ‘primavera pugliese’, grazie anche a un ‘rientro di cervelli’ nella regione, attraverso fondi e grandi investimenti in vari settori operati negli ultimi anni.
Post Disaster Rooftop si definisce come piattaforma di ricerca incentrata sul sud del Mediterraneo e volta a generare operazioni di confronto per una riappropriazione critica della identità di luoghi e comunità, e per una ridistribuzione delle risorse. In particolare, il collettivo pone il proprio focus sul Mediterraneo e sul concetto di disastro, per rivelare il disagio e il degrado presente in varie realtà, ma anche per prefigurare soluzioni future.
La sua ricerca si posiziona dunque in una interessante intersezione fra sociologia, psicologia, politica, architettura, urbanistica design ed estetica, trovando poi nell’arte contemporanea quella visionarietà e eccezionalità che legittima azioni performative e installazioni dal tono decisamente progressista se non rivoluzionario.
Ponendosi in qualche modo in continuità con l’approccio teorico e metodologico del situazionismo e con la visionarietà dei radicals, Post Disaster Rooftop opera una critica all’idea stessa di progetto, in termini di autorialità, monumentalità e assenza di quella necessaria flessibilità che permette il confronto con un tessuto sociale e culturale in continua evoluzione. La costruzione condivisa di architetture effimere permette piuttosto di far emergere potenzialità dello spazio in maniera reversibile, creando esperimenti di futuro possibile che non necessitano di grandi economie e risorse, se non la partecipazione di un pubblico a momenti di coprogettazione.
La pratica dell’occupazione dello spazio pubblico, e in particolare dei tetti di edifici storici, diventa per esempio occasione per un cambio di prospettiva sulla città, sullo spazio comune, e quindi di analisi e consapevolezza del proprio ruolo in essa, del significato e valore di quei luoghi all’interno della geografia personale e condivisa.
Al momento del nostro incontro il collettivo si stava confrontando con l’elaborazione del progetto per la prima Biennale di Malta: qui, nella primavera del 2024, agirà in un luogo di La Valletta dalla forte connotazione storica e politica come il Forte Sant’Elmo, con un’azione collettiva che permetterà alla popolazione locale di riappropriarsi di quel luogo e della sua identità e valore nella geografia cittadina.
Data la particolare natura della pratica di Post Disaster, parte dei progetti sono oggi il risultato di commissioni che esulano perlopiù dai consueti circoli e luoghi dell’arte e si avvalgono di operazioni di autofinanziamento o attraverso fondi regionali, nazionali e soprattutto europei.
L’idea è che anche i progetti stessi possano essere occasioni per una ridistribuzione dei fondi da aree più agiate al sud-europeo, territorio privilegiato di azione e riflessione.
La dimensione ibrida, multidisciplinare e aperta della ricerca di Post Disaster rende difficile qualunque incasellamento del collettivo in categorie precise e quindi il conseguente riconoscimento all’interno del sistema dell’arte contemporanea, limitando in parte le possibilità di finanziamento ed esposizione.
Proprio questa multidimensionalità estende però anche le possibilità operative a più contesti, permettendo alla pratica del collettivo di avere un impatto effettivo sulle comunità e i territori dove agisce, creando importanti momenti di coscienza individuale e collettiva.