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panorama

Patrick Tuttofuoco

Milano 1974

Vive e lavora a Milano

Studio visit di Edoardo De Cobelli

Incontro Patrick Tuttofuoco in un bar a Nolo, a due passi dal suo studio. Dopo aver vissuto quasi quindici anni a Berlino, da qualche anno l’artista è tornato a Milano, una città migliorata sotto tanti aspetti, dice, a parte una radicata esterofilia che la rende, a suo modo, inconsapevolmente provinciale.

Nato alla metà degli anni Settanta, Patrick ha in parte raccolto l’eredità pop del decennio, orientando quell’estetica verso un’essenzialità lineare, poetica e minimale. Volti di un’iconografia classica si intrecciano alle silhouette luminose di serie di mani, dettagli di figurativismo che sembrano cercare, nella forma, un principio di astrazione. Come in Elevatio Corpus, una serie di tre installazioni realizzate a Ghizzano nel 2019, ispirate a un ciclo di affreschi locali di Benozzo Gozzoli, o come la partecipazione alla riqualificazione urbana dell’ex esattoria civica, a Milano, nel 2022: due mani complementari che si toccano intrecciandosi. Ma l’ascendenza pop di Tuttofuoco viene forse più dal suo interesse verso le tecnologie, a partire dalla luce, in particolare il neon, e dal costante desiderio di impiegarle in forma scultorea o in immagini senza tempo.

La sua ricerca è imperniata fin dal principio intorno all’uomo, come corpo, individuo e misura del suo ambiente. Negli anni, Tuttofuoco si è relazionato sempre più spesso con lo spazio pubblico e l’ambiente, a sua volta, è apparso come misura dell’uomo, luogo in cui l’arte può divenire e trasformare, all’interno di un contesto di comune appartenenza. Le opere sono allo stesso tempo il risultato di un’introspezione profonda e un invito rivolto allo spettatore alla contemplazione della propria interiorità, nella semplice armonia dell’opera. In questo, come in altri aspetti del suo lavoro, si legge tra le righe il principio di una spiritualità laica che costituisce l’aspetto più profondo e meno appariscente del suo linguaggio: il costante tentativo di cogliere l’ordito e la trama di qualcosa di più grande, ma di renderlo accessibile a tutti attraverso un linguaggio estetico immediato, dotato di un potere sintetico di forma e significato.

Dopo la partecipazione all’iniziativa di Panorama nel paese di Monopoli, Patrick ha recentemente realizzato, invitato da Pirelli, il trofeo di F1 del circuito di Monza, di fronte a un’audience atipica per l’arte contemporanea. Per questa iniziativa, frutto di una contaminazione tra arte e impresa, che l’artista nella sua carriera ha sempre promosso e assecondato, ha sperimentato la fresatura digitale del metacrilato, poi colorata artigianalmente. La vicinanza all’impresa, al privato, viene anche da una difficoltà istituzionale a sostenere gli artisti, talvolta coinvolti in ambiziosi progetti infine non realizzati.

A differenza di altri artisti, Tuttofuoco non ricerca nel suo lavoro lo sviluppo di una poetica lineare, ma elabora ogni singolo intervento a partire dal contesto in cui l’opera si pone e in risposta a un’incessante e assoluta curiosità personale. Nonostante una pratica artistica ormai trentennale, sentirlo raccontare il suo lavoro trasmette la sensazione di parlare con un artista fresco di accademia, in termini di desiderio di sperimentazione e di costante mutamento. Forse, proprio per questo, si fa fatica a raccogliere la ricerca di Patrick Tuttofuoco in un recinto di pensiero. Come lo spazio pubblico in cui interviene è uno spazio in continua mutazione e ridefinizione, la sua pratica è un luogo di possibilità che non desidera essere definito.