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panorama

Oscar Giaconia

Milano 1978
Vive e lavora a Bergamo
Studio visit di Edoardo De Cobelli

Elastomeri, catene alchediche, polimeri, neoprene; corpi parassitati, compost; coaguli, spurghi, maltrattamenti, insufflaggio… il mondo di Oscar Giaconia è una coltura di esperimenti, materiali e trasformazioni fisiche, lasciati a decantare o modificati nel tempo. Per provare a capirlo, bisognerebbe immergersi a nostra volta in una forma di derivazione trasformativa del linguaggio, che muta al pari della materia. Un limaccio, in cui la parola si deforma e impantana.

Lo studio dell’artista, pittore di formazione, è l’implosione organizzata di una vita di sperimentazione e procedimenti artistici: bacheche di schizzi e disegni si intervallano a prove di materiali plastici e siliconi, mensole di opere a una vasta tassonomia di forme strane che l’artista ama riprendere. Una densità fitta, risultato di un continuo processo di gestazione e accumulazione, ma che segue un ordine e una disposizione chiari all’artista. Giaconia tratta la tela come un corpo che ambisce alla terza dimensione. Se la superficie è lo strato visibile, questa è la somma di una stratificazione, dove interagiscono agenti e reazioni fisiche. Dedicandosi fin dall’inizio all’esercizio del dipingere, nonostante l’assenza di corsi dedicati nelle accademie frequentate, è senza dubbio diventato uno dei più bravi pittori in Italia, per talento, tecnica e capacità di traduzione di un immaginario profondo e personale. La pittura è l’esito di un’operazione artistica che va però oltre i limiti dei suoi elementi, sfidando le forze di attrazione del campo della narrazione visiva in una visione scultorea che, potremmo dire, entra ed esce dall’immagine. Maquette, props, plastici e vere e proprie sculture sono il corollario del suo immaginario, dove l’immagine ritratta spesso non è che una prospettiva sulle sue sculture. Un’anamorfosi della figura, visione multipla della stessa cosa, come nel trittico appena presentato alla galleria Monitor. I soggetti sono, infine, ambigue figure ricorrenti, le più riconoscibili delle quali sono i fishermen, pescatori in giacca e cappello ─ oggetti quest’ultimi che si incrociano appesi all’ingresso e appartenenti all’artista ─ a cui ha dedicato una serie.

Nella nuova sede a Roma della galleria Monitor, Giaconia presenta vari quadri di diverse dimensione tra cui il trittico appena menzionato, che ben esprime la sua pratica: un soggetto a metà tra un verme, un pupazzo e una rana, nato dalla casuale illuminazione di un faretto rotto su un’opera posta in un angolo.

Talvolta il lavoro e la ricerca che si nascondono dietro la superficie dei suoi quadri sono totalmente indeducibili, a discapito tanto dell’artista quanto dell’osservatore, che rimane ignaro dei processi che hanno dato vita all’opera e a quella particolare patina traslucida. La tela non tradisce i procedimenti che l’hanno generata, anzi sembra in qualche modo nasconderli. Ma, forse, il parziale mistero delle opere fa parte dell’attrazione che esercitano in chi le guarda, mentre si cerca di capire di cosa si tratti, nella loro rappresentazione quanto nel materiale da cui emergono.