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Numero Cromatico

Collettivo artistico costituito a Roma nel 2011 da Dionigi Mattia Gagliardi, Manuel Focareta, Marco Marini, Giulia Torromino, Salvatore Gaetano Chiarella, Sara Cuono, Luisa Amendola, Federica Marenghi, Marianna Rossi, Licia Masi

Studio visit di Nicolas Martino

Sensibilità e formazioni diverse, artistiche, psicologiche e scientifiche, si sono unite per creare un laboratorio di ricerca che lavora intorno all’idea che l’opera artistica, e quindi anche il concetto di bellezza, possano essere ricondotte a una rigorosa analisi basata sul metodo scientifico. Il gruppo di ricercatori trentenni si riallaccia direttamente all’esperienza inaugurata alla fine degli anni Settanta dall’Eventualismo promosso da Sergio Lombardo che, con il centro di studi Jartrakor e la «Rivista di Psicologia dell’Arte», intendeva riprendere le fila di quell’avanguardia polverizzata dalla svolta postmoderna. Questa genealogia colloca subito il gruppo dentro una linea di ricerca artistica molto precisa, quella che, rifiutando ogni metafisica estetica e ogni retorica autoriale di derivazione romantica, connette l’esperienza estetica con la psicologia sperimentale di Fechner e Berlyne e più recentemente con la neuroestetica ispirata da Zeki. Lo studio di San Lorenzo, nel quale si riunisce e lavora il collettivo, si presenta quindi come un vero e proprio laboratorio che articola la sua attività in più direzioni: produzione artistica, ricerca scientifica, formazione, editoria. Questi diversi livelli, che si concretizzano nella produzione di opere, nell’organizzazione di mostre, masterclass, seminari e nella realizzazione di una rivista dal titolo «Nodes», pubblicata in italiano e in inglese, fanno di Numero Cromatico una delle esperienze più originali nel panorama artistico italiano. Fino al 2019, ogni componente del gruppo, pur lavorando in una direzione comune, firmava le sue opere singolarmente, dal 2019 invece le opere sono firmate sempre collettivamente. L’ultima produzione, che è possibile vedere in studio e che riassume il senso della loro ricerca, consiste in una serie di quadri/mosaici di diverse dimensioni dal titolo Sempre vivi (2021), realizzati con fiori di Limonium sinuatum e che riportano frasi generate da un’intelligenza artificiale istruita dal collettivo, ed alcuni arazzi, anche questi molto recenti e altrettanto suggestivi, che riportano poesie d’amore generate anch’esse da un sistema automatico. Parte di questi lavori, che contrappongono il calore della materia ella freddezza dell’algoritmo e si interrogano sul funzionamento della creatività, sono visibili all’interno di mostre e progetti attualmente allestiti da Contemporary Cluster e al MAXXI. Numero Cromatico infatti, rifiutando ogni marginalità, partecipa attivamente al sistema dell’arte contemporanea, pur rimanendo sempre coerente con i suoi presupposti e trasformando queste occasioni in ulteriori esperimenti dove il pubblico e le sue reazioni estetico-percettive vengono attentamente registrate e studiate. Ma è importante ricordare anche che Numero Cromatico ha anticipato la recente diffusione degli spazi indipendenti a Roma, trasformando il proprio studio, fin dall’inizio, in uno spazio ibrido e aperto in cui organizzare le proprie mostre ma anche quelle di altri artisti, e promuovere incontri e riunioni con scienziati, filosofi, critici e curatori d’arte. Così è stato per il loro primo spazio aperto in via Carlo Caneva nel 2016, e poi per quello all’ultimo piano del Pastificio Cerere che dal 2018 e fino al 2020 ha animato la scena romana, e così è anche per questo nuovo spazio che si trova in via Tiburtina sempre nel quartiere San Lorenzo. Lontano quindi anche dal vizio dell’autoreferenzialità che troppo spesso inaridisce l’attività artistica, consegnandola esclusivamente alle oscillazioni del mercato e delle mode, il collettivo si distingue per essere un dispositivo che, dentro la circolazione contemporanea dei segni, è sempre aperto al confronto, come dovrebbe essere per qualsiasi ricerca che sia effettivamente tale e quindi sempre verificabile, falsificabile e aggiornabile. Se questi sono i punti di forza di un’esperienza piuttosto unica nel panorama italiano, occorre segnalare che forse le potenzialità di questa ne guadagnerebbero ulteriormente da una maggiore insistenza su una critica dell’economia politica dell’arte legata a un’antropologia culturale articolata sulle invarianti e le varianti della natura umana.