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panorama

Nicola Martini

Firenze 1984

Vive e lavora a Milano

Studio visit di Marco Scotti

Nicola Martini è prima di tutto uno scultore, un artista che lavora sulla materia avviando processi, perdendo il controllo, dando visibilità e forma alla materia. Oggi insegna anche Estetica alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, sempre dalla prospettiva di un artista. «Cerco di mettere in mano agli studenti la mia esperienza, quello che vuol dire trovarsi dentro al lavoro. E poi pacifica tante pieghe anche della mia ricerca, aiuta a sbloccare tante cose attraverso il confronto».

Ci incontriamo a Milano, nel suo studio in uno spazio ex industriale ai margini tra Affori e Bovisa. L’ultima mostra presso Clima Gallery, Appunti dall’inframezzo, ci riporta alla sua modalità di lavoro, alla sua idea di artista come figura che innesca un processo. I grandi quadri alle pareti sono in realtà contenitori fatti di due fogli di Dyneema, un tessuto iper-leggero e molto resistente, saldati insieme con un nastro e riempiti con una soluzione: una volta che la saldatura chimica del nastro è compiuta, il sacco viene tirato su di un telaio da pittura in alluminio e il liquido interno – composto da lattice e grafite – tende ai lati e al centro dal suo interno, formando alcune tasche per intrappolare il materiale colato. Il risultato è la documentazione di dinamiche che l’artista, appunto, solo progetta e innesca, con le tracce rese visibili dalle qualità dei materiali: «una volta innescato il campo, poi lo perdi completamente. Si attivano possibilità». «Mi sono avvicinato alla filosofia contemporaneamente al manifestarsi del Nuovo realismo e da lì sono partito. Per me è stato eccitante perché, a quel tempo, ho trovato nelle parole un corrispettivo a quella che era la ricerca materica che portavo avanti con il mio lavoro. Era una cosa che accadeva in quel momento ed è stato entusiasmante». Uno dei lavori cui si sta dedicando, attualmente, è una serie di fusioni in alluminio. Sono sempre contenitori, per uno specchio di gommalacca liquida, ottenuta grazie all’evaporazione del solvente che permette al materiale di occupare le porosità del metallo. «È un lavoro relativamente semplice, importante per me, che avevo qui da quasi dieci anni ed è riemerso proprio grazie alle riflessioni e ai discorsi fatti durante l’insegnamento».

Nel futuro invece c’è un progetto dedicato all’Etna, in collaborazione con Mater Matuta di Leonardo Caffo: Martini immagina di portare una squadra di scalpellini sul vulcano, per lavorare in loco la pietra lavica e aprire spazi dove, durante eruzioni future, potrà rientrare la lava. Un lavoro sull’effimero e la durata, sulle tracce, che sarebbe documentato da un film di immagini ravvicinate. «Mi interessa l’idea della parzialità, di come sia impossibile apprendere non essendo in presenza».

Si vede una ricorsività, nel lavoro di Martini, così come una costante apertura verso l’ambiguità. «Io mi ritrovo in questo. Più non capisci la funzione visiva e sociale di un lavoro, più ci entri dentro». Anche la ricerca filosofica avviene in maniera laterale: a partire da una pratica scultorea, ma tenendola collegata e funzionale ad essa. «Penso all’idea di mutualità che ritrovo in tanti filosofi del postumanesimo: non uno ma tanti, demolendo l’idea dell’io, verso la fine dell’antropocentrismo. Anche nell’arte, non importa se è paradossale». «Ci ho messo anni ad accettare di essere definito scultore». Oggi il lavoro di Nicola Martini racconta una pratica coerente, fondata sull’attenzione verso i materiali, le loro qualità e caratteristiche particolari, gli stati, i cambiamenti e le tensioni, rivolta alle sperimentazioni.