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panorama

Nico Angiuli

Adelfia 1981
Vive e lavora a Bari e a Berlin
Studio visit di Stefano Coletto

Nico Angiuli lo incontro per la prima volta nel 2010. Arriva dall’Accademia di Roma e si iscrive allo IUAV di Venezia, quel dipartimento di Arti visive che a pochi anni dalla nascita stava innovando lo scenario della formazione artistica in città e non solo. Nico, già dal 2006, sa che l’artista può camminare, attraversare confini e incontrare mondi e persone. Avvia la collaborazione con Stalker/ON con iniziative tra Albania, Grecia e Italia.

Intanto si avvicina alla figura Pino Pascali, mitico artista, innovatore e ironico tra arte povera e influenze pop. Vince un premio-acquisto alla Fondazione Bevilacqua La Masa nel 2011 con Incarnatio duabus rotis rotatis, immaginando la morte di Pascali come mai avvenuta e produce le opere rimaste nei suoi taccuini, quindi materiali poveri, sculture effimere come dispositivi del quotidiano. Assegnatario di un atelier alla Giudecca, inizia la sua ricerca con letture e performance teatrali sulla resistenza dei corpi al potere, potere che gli uomini esercitano su altri uomini attraverso il lavoro. Sono gli anni di Ma vai a lavorare!, Le piastrelle sono intenzioni, La danza degli attrezzi.

Ma servono bandi, commissioni pubbliche per avere più tempo per le ricerche e più fondi per migliorare la formalizzazione. Arriva la produzione a più mani e teste di The Tools’ Dance – Collective Performance (videoarchivio dei gesti in agricoltura 2010-2017), grazie al supporto di MIbact e Care of, a cura di Martina Angelotti. Quindi i premi Italian Council nel 2019 per The Human Tools: una videoinstallazione costruita sulle forme di schiavitù generate dagli strumenti dell’intelligenza artificiale. Quindi la menzione al premio della VAF Foundation, il grant di Connecting Cultures di Milano, ancora Cantica 21, il progetto EMARE European Media Art Platform della Fondazione Onassis, per cui ha realizzato Amazon Dance, ovvero come i processi regolativi matematici dei software impattano sui lavoratori.

I film di Nico sono stati presentati in luoghi quali la 16° Quadriennale di Roma, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, il Mart di Rovereto; viene selezionato per residenze presso Città dell’Arte della Fondazione Pistoletto, Bau Project a Bolzano, Dena Foundation a Parigi.

Angiuli è un artista nomade e non ha mai avuto un atelier stabile; i luoghi del lavoro e delle persone, nei contesti anche più marginali, sono la sua palestra. Fuori dal ricovero casalingo recupera gli attrezzi, le parole, le immagini dei suoi racconti, riassemblati direttamente nei luoghi delle mostre, come per la personale alla galleria di Marina Bastianello a Mestre, o negli appartamenti dove soggiorna. Da alcuni anni a Berlino, ci racconta di essere stato selezionato per un atelier, guarda caso, un nuovo lavoro “su chi lavora”. «Si tratta dello ZK/U Center for Art and Urbanistics di Berlino, nel quartiere Moabit dove convivono artisti, movimenti e gruppi internazionali. Per offrire maggiore spazio alle iniziative locali berlinesi, nel 2018 è stato lanciato Ständige Vertretung (SV), in collaborazione con ConstructLab, Refunc e StudioC. Da allora, il project space scultoreo ha offerto opportunità di produzione, lavoro ed esposizione ai lavoratori culturali berlinesi e ha fornito un riparo e una nuova sfera pubblica a molti lavoratori culturali indipendenti, collettivi e iniziative berlinesi in situazioni precarie. Con il coordinamento di Lena Wegmann, da marzo a giugno 2023 sono ospite degli spazi dello Z/KU. Con il progetto Pfand Straße stiamo attivando un processo comunitario che porti i raccoglitori di bottiglie e lattine ad allearsi. Dando così forma ad una entità riconoscibile sul piano sociale, dei diritti e di ipotetiche collaborazioni con università e spazi di ricerca sulla città e sulle pratiche di economia circolare». Il suo lavoro produce consapevolezza, ma non incita alla rivoluzione utopistica e violenta: individua corpi ai margini del sociale e ne racconta la resistenza come micro azioni anarchiche. Solo su questa scala si può salvare chi rischia di soccombere. Per i suoi recenti progetti Nico si ispira all’autore di Weapons of the Weak: Everyday Form of Peasant Resistance (1985), il politologo e antropologo statunitense James C. Scott. In questi mesi è impegnato in un workhop a Termoli, Part-Time Resistance, al MACTE Museo di Arte Contemporanea di Termoli con il team di Caterina Riva, Nadia Vitone, Amalia Vitale, Marta Federici per il PAC2020.

Ecco, Nico si sente un uomo da bandi, ‘bandito’ come si definisce. La sua è una sfida lanciata al sistema dell’arte contemporanea; come può mantenersi una ricerca di questo tipo? Foto, disegni, video, performance, regie… Il suo lavoro ha il difetto che può apparire a volte troppo ludico rispetto alla serietà delle questioni affrontate, eccede in leggerezza nel mettere in narrazione stereotipi comuni. Rischia di fissare solo appunti del sociale che indaga nel suo palcoscenico di disegni in forma di performance. Ma sono pochissimi gli artisti che lavorano con la sua coerenza, umiltà e ostinazione insieme.

E alla fine l’artista lavora? Questa è ancora la domanda che, ironicamente, oppure ‘pascalianamente’, circonda la pratica di Nico, che brilla senza abbagliare, che interroga pratiche relazionali ed estetiche, ma non si rifugia in comunità o nelle facili identità di mero attivismo, bensì le mette in gioco, ne racconta le trasformazioni, partecipandole. Così ogni pratica artistica sul lavoro interroga il lavoro dell’artista, come ogni opera d’arte interroga il significato dell’arte. Nico incarna anche questo.