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panorama

Natália Trejbalová

Košice, Slovacchia, 1989
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Edoardo De Cobelli
24 marzo 2024

Scendo nello studio di Natália Trejbalová un venerdì mattina, dal sesto piano dello stesso edificio dove entrambi viviamo, pur non essendoci mai incontrati né conosciuti. Sotto l’insegna di un occhio lacrimante, realizzata da Dafne Boggeri alcuni anni fa, si entra nella casa-studio di Natália: un piccolo loft accogliente nel quartiere nord-est di Milano, diviso in due metà esatte.

Alcune sculture in vetro di Murano, solitamente parte di installazioni più ampie, sono qui isolate e illuminate su un tavolo da lavoro, come alieni dalle forme zoomorfe vagamente riconoscibili. Sono elementi di un progetto recente, che ha iniziato in occasione di Una boccata d’arte tra i vigneti delle Langhe: un territorio oggetto di una monocultura che, per quanto possa piacere, deforma il paesaggio naturale e ne estrae il valore dal suolo. In uno dei numerosi borghi piemontesi, Neive, Trejbalová ha immaginato la ricolonizzazione di una nuova natura, a partire dalle fessure tra i sanpietrini della pavimentazione, dove le sue opere crescevano a cielo aperto. Non è una mostra politica, ma un’installazione narrativa e speculativa come lo può essere un racconto visivo, che prende le mosse dalla cosiddetta teoria della Panspermia. L’inserzione di elementi artificiali in porzioni di paesaggio naturale è il gioco di fabulazione intrapreso in quell’occasione e proseguito in altre mostre, come nella sua ultima personale a Bratislava. Qui, è il terreno stesso a entrare in galleria o, meglio, una scultura composta da una sedimentazione di terreni, dentro una teca aperta e in continua trasformazione. Come nell’opera Something Borrowed, Something Buried: Everything in Its Right Place, esposta al MACA di Alcamo: sabbia, piante, erba e ghiaia si mescolano ad argilla cruda, gel, pigmenti, spore e sculture in vetro di Murano all’interno di un piccolo giardino immaginario.

Natália Trejbalová si inserisce nel panorama di artisti – come Giovanni Chiamenti o Camilla Alberti – che in Italia riflettono sulle relazioni interspecie e l’immaginazione di futuri possibili, a partire, nel suo caso, da uno sguardo del sottosuolo, ctonio, e delle sue evoluzioni.

Non a caso, è proprio la Terra lo spunto di un’opera del 2020 incentrata sulle teorie del terrapiattismo, About Mirages and Stolen Stones, il primo video di una trilogia che vorrebbe concludere quest’anno. Ogni mostra, ogni opera diventano infine, nel tempo, un oggetto di scena dei video, che si sviluppano attraverso un lavoro e un tempo più lunghi.

Oltre a lavorare alla conclusione del terzo capitolo, negli ultimi mesi ha ricondotto la sua ricerca anche alla pittura, in particolare disegni fatti con l’aerografo su grandi carte. I formati prendono spesso spunto da un protocinema di esteso formato orizzontale, oggi in disuso, come il CinemaScope.

Oggi ci domandiamo tutti quale futuro aspetti il nostro pianeta. Quando osservo le opere degli artisti che includono queste domande nella loro ricerca, mi accorgo che l’arte interpreta la visione di radicale ottimismo che nasce dalla filosofia delle parentele e dalla “Solarpunk community” tanto quanto la visione pessimistica di futuri distopici e postapocalittici. Benché sia fondata su un terreno meno solido e realistico, la speculazione e la fabulazione degli artisti è una delle armi più forti che abbiamo per allargare il nostro orizzonte e vedere nuove strade. Ma come critico e curatore mi domando, al di là delle parole: ha l’arte cambiato la mia prospettiva e quella degli altri negli ultimi anni? Nel contesto di questa studio visit: può la ricerca creativa di Trejbalová far riflettere in maniera costruttiva in merito ai temi del presente? Se la risposta è affermativa per entrambi gli interrogativi, l’allargamento della conoscenza si traduce raramente in termini di un nuovo agire; un problema a cui l’arte, purtroppo, difficilmente è in grado di porre rimedio e un limite condiviso con le filosofie oggi in auge.