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panorama

Nadia Galbiati

Cernusco sul Naviglio 1975
Vive a Pioltello
Studio visit di Francesca Guerisoli

Gli ambienti di un’ex cascina in cui Nadia Galbiati opera a Pioltello, in provincia di Milano, mostrano uno spazio tra lo studio laboratorio e l’officina. Le diverse attrezzature presenti le consentono di effettuare in autonomia alcuni lavori di carpenteria e di acidatura, tra carteggiatrici, saldatrice, trapano a colonna, macchine per la laminazione dei metalli, piegatrice manuale per la creazione di scatolati. Nadia viene dalla scuola della scultura ‘lavorata a mano’, da studi all’Accademia di Brera conclusi nel 1999. In studio sono presenti numerose opere che mostrano gli sviluppi del suo lavoro negli anni, in cui la citazione architettonica ricorre come una costante, sempre trattata in chiave astratta. In particolare, la forma richiama l’angolo nella struttura del quadrato e del rettangolo, su cui innesta l’incisione. L’artista utilizza la tecnica che si usa nell’acquaforte: tramite le morsure, disegna sulla lamiera utilizzando un acido per incidere lastre di ferro. Le incisioni vengono poi assemblate a forme tridimensionali, scatolate, in parti di scultura. La scultura in diversi casi diviene installazione ambientale; mi cita il caso della mostra sostenuta da Fiat 500 tramite l’associazione culturale Passaporto di Torino con cui, nel 2008, con l’artista Claudia Canavesi, ha realizzato 200 mq di pavimentazione in lamiera di ferro incisa in un ex garage di 500 mq.

La prima personale risale al 2011. Da Leo Galleries a Monza, Nadia aveva creato un’installazione con lamiere sul tema del rapporto con l’architettura, realizzando un tappeto ambientale di lamiere. La sua ricerca si è sempre concentrata sull’analisi dello spazio e le opere si giocano tutte sulla relazione tra spazio (soprattutto i vuoti) e materia. Va a ricreare una complessità fatta di “vuoti incorniciati”, sempre alla ricerca dei concetti di armonia ed equilibrio. In Galbiati i riferimenti vanno dalle recenti costruzioni milanesi di Libeskind e Hadid agli edifici degli anni Trenta, passando dai palazzi degli anni Sessanta. La serie Spazio costruito (2015-2019) presenta un insieme di sculture di dimensioni diverse, da appoggio e sospese, composte da gabbie multiple articolate, ispirate a una coppia di grattacieli del quartiere Garibaldi di Milano. L’ombra è parte fondamentale dell’opera, che proietta sulla parete la struttura delle gabbie e le moltiplica. La serie Right Angle (2018-2021) è costituita da sezioni a fascia in ferro bianco, lamiere con frammenti di disegno inciso messe in relazione a piani di specchio che moltiplicano la struttura, così come la serie Quadrilatero (2017-2021), in cui articola quadrati e rettangoli dall’angolo stondato in relazione a fasce di lamiera incisa. In versione installativa l’opera è stata proposta nella personale Luoghi (2018), a cura di Simona Bartolena, alla galleria E3 arte contemporanea di Brescia, con le sculture sospese su un pavimento di specchio all’interno di un quadrato di ferro bianco, e poi riproposta allo Studio Museo Francesco Messina per la personale Frammenti di città (2019), curata da Alberto Fiz. Tra le produzioni più recenti, mostra il ciclo di sculture Contemporary Poetry, caratterizzato da composizioni concettuali realizzate con appendiabiti su ruote e un carrellino di uso domestico in cui articola elementi metallici, presentate nel Focus Scultura 2023 presso la galleria Villa Contemporanea di Monza. Nella personale Shock in My Town da Gli eroici furori di Milano, in corso nelle scorse settimane, ispirata alla canzone di Battiato, Galbiati narra il “delirio surreale” della città, che interpreta con il disegno architettonico su metallo, il blu come elemento del cielo e flou acidi, come «un’onda emozionale ed energetica che si sprigiona dalle forme architettoniche della città». La scultura Quadrilatero blu, come i pannelli da disegno a morsura di forme triangolari, ci raccontano dei toni di blu metallico del cielo urbano accostati alle precedenti opere più citazionistiche degli spaccati architettonici cittadini, che Galbiati precedentemente lavorava sul bianco e nero, trovando nell’assenza di colore una maggiore libertà nella forma e che richiamano con evidenza il disegno architettonico.