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panorama

Matteo Nasini

Roma 1976

Vive e lavora a Roma

Studio visit di Nicolas Martino

Nella Bibbia, rivolgendosi al suo popolo, Dio ricorda che nessuno ha visto alcuna immagine, ma che tutti hanno solo udito una voce. Esattamente dice: «voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura; vi era soltanto una voce». Parola, e quindi logos, come fondamento del pensiero occidentale, potremmo dire, in cui tutto l’essere sarebbe stato progressivamente ridotto a un processo di razionalizzazione attraverso la parola che nomina. Da Nietzsche a Derrida la decostruzione della metafisica ha insistito su questo fondamento radicato in una tradizione religiosa che ha fatto della parola il principale, se non unico mezzo di espressione, relegando altre forme di comunicazione al sottoscala del nostro sistema culturale. Se ci pensiamo, le arti performative, e la danza in particolare, hanno subito un violento ostracismo da quando il cristianesimo ha conquistato i territori dell’impero romano. Mentre le arti visive e la musica hanno dovuto spesso combattere per affermare la loro dignità a fronte di quelle arti della parola che hanno goduto di un particolare privilegio. Gino De Dominicis, all’inizio degli anni Ottanta, dipinse un quadro dal titolo emblematico: In principio era l’immagine, proprio per contrapporsi alla prevalenza della parola scritta sull’immagine. Ma se torniamo, con maggiore attenzione, alle parole della Bibbia che dicono che «In principio era il verbo», ci accorgiamo che il verbo, prima di essere articolato in parola, è suono (e lo dice la Bibbia stessa). Ci accorgiamo, insomma, che in principio non era il verbo, nemmeno l’immagine probabilmente, ma il suono, ovvero la musica. E su questo, probabilmente, sarebbe d’accordo Matteo Nasini, che sul suono, la sua origine e le sue molteplici espressioni, ha costruito la sua poetica di artista.

Nasini, non a caso, ha una formazione musicale, avendo studiato al conservatorio di Santa Cecilia di Roma ed essendo stato anche membro dell’orchestra Luigi Cherubini, diretta da Riccardo Muti. I diversi progetti di cui mi parla ‒ per esempio, Neolithic Sunshine che si è tenuto al Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro nel 2018 e Sparkilng Matter che si è sviluppato in più tappe con un appuntamento anche alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma nel 2017, durante la manifestazione Sensibile comune ‒ mettono al centro il suono come espressione primordiale del rapporto tra l’essere umano e il mondo, e qui Nasini ha indagato anche il ruolo degli strumenti musicali preistorici realizzati con parti di animali e l’indagine neuro-scientifica sul sonno e le onde cerebrali che possono essere tradotte in suoni. In questo senso, parte costitutiva del lavoro di Nasini è l’organizzazione di una serie di concerti notturni come risultato performativo di una collettività di dormienti, esperienza fortemente suggestiva che sottolinea la centralità di quell’“assalto al sonno” messo in opera dal capitalismo contemporaneo e indagato recentemente anche da Jonathan Crary nel suo saggio 24/7. Il più recente Welcome Wanderer, è un progetto tuttora in corso a cui l’artista sta continuando a lavorare con una serie di appuntamenti che si volgeranno anche quest’estate e, forse, si tratta di quello più completo e ambizioso: provare a catturare il suono, ovvero la musica delle stelle. Un software costruisce una retta zenitale e «quando un astro della Via Lattea la tocca si attivano le automazioni che innescano sequenze che si concatenano tra di loro», dice Nasini. Ascoltando e ‘guardando’ questa musica, viene subito in mente quell’armonia delle sfere della teoria musicale pitagorica e improvvisamente penso a un “maestro” scomparso troppo presto, Elio Matassi, che ha insegnato a generazioni di studenti l’importanza estetica, e aggiungerei politica, della musica, insistendo sul ruolo filosofico dell’ascolto.

Penso che probabilmente anche lui avrebbe amato questo lavoro di Nasini, che tra gli artisti italiani è tra i pochi che riescono a fare un lavoro concettualmente così raffinato sul suono, proponendo, al tempo stesso, un’indagine antropologica sull’uomo e sulla sua posizione sulla Terra e il cosmo, o meglio “caosmo”, nel quale è in viaggio da millenni. Non da ultimo, Nasini svolge anche un’attività didattica presso la Naba (tra le accademie private, l’unica a fare un lavoro di selezione della docenza che garantisce un elevato standard di qualità della didattica e della ricerca), che probabilmente arricchirà sempre di più anche il suo percorso artistico. Se qualcosa manca o difetta in questa proposta, probabilmente è la maggiore presenza e visibilità di un lavoro che forse paga un’eccessiva discrezione e gentilezza dell’autore. Nel mondo dell’arte contemporanea, dove tutti sgomitano per una mostra in più, questo è senz’altro un difetto.