Latisana 1979
Vive e lavora a New York
Studio visit di Elisa Carollo
Matteo Callegari ha trovato la sua arte solo fuori dall’Italia: dopo la laurea in Economia aziendale ha infatti deciso di partire per New York per dedicarsi alla pittura, assorbendo dalla vitalità della scena artistica locale a cavallo del nuovo millennio e frequentando poi un master presso l’Hunter College.
L’opera di Callegari ha però subito una radicale evoluzione nell’ultimo periodo: affermatosi con una pittura più mentale, incentrata su una interrogazione analitica del fare pittorico e della tela come proposizione dai risultati perlopiù minimali e astratti, Callegari è passato a una figurazione ispirata dalla natura e, in particolare, da quella della foresta amazzonica, a seguito di un viaggio in Perù, che ha cambiato profondamente il suo approccio alla vita e di conseguenza anche all’arte.
Se, in genere, si consiglia di mantenere una coerenza nella propria pratica artistica così da permettere una certa ‘riconoscibilità’, Callegari non ha avuto timore di andare contro questa regola, perseguendo una mutazione radicale del proprio fare pittorico: l’artista confessa, infatti, che non vedeva più spazio di evoluzione in quello che stava facendo; voleva trovare la propria voce, una urgenza diversa ad animare il proprio lavoro.
Questa esperienza a contatto con la natura e con saperi altri, come quelli indigeni e sciamanici, ha condotto Callegari a un lavoro più diretto, apparentemente più leggibile ma, al contempo, basato su una profonda riflessione sul rapporto simbiotico tra natura e spazio metafisico. Le nuove opere realizzate rappresentano, infatti, soprattutto animali della foresta, colti in momenti di piena espressione della propria animalità e del proprio ruolo specifico all’interno dell’ecosistema. Attorno a essi, lungo i bordi di una tela lasciata volutamente grezza, scorrono motivi astratti, pattern energetici che si possono visualizzare in stati di ‘coscienza aumentata’, durante rituali come l’ayahuasca e altre cerimonie e pratiche legate al sapere indigeno. Sebbene ispirati da scatti fotografici e realizzati in uno stile iperrealista, significativa è la scelta di partire da uno sfondo nero: su di esso l’artista fa emergere le figure tramite brevi tratti di colore, portando così l’animale letteralmente a manifestarsi sulla tela. È proprio questa scelta ciò che allontana il realismo di queste opere da qualsiasi intento puramente narrativo o documentaristico, elevandole a una dimensione più spirituale: come spiega l’artista, questi animali non sono concepiti come soggetti, ma piuttosto come potenziali tramiti energetici per connettere l’osservatore alle energie primordiali che rappresentano. Tali figure paiono infatti immagini interiori, che emergono dall’inconscio per manifestarsi sulla tela tramite un accumulo frenetico ed energetico di materia pittorica e colore, proponendosi, così, come occasioni per un training in termini di percezione cromatica ed energetica, alla pari di quello ispirato all’artista dalla natura amazzonica.
Al momento della nostra visita Callegari aveva in studio una serie di opere pittoriche destinate a una mostra da Giovanni’s Room a Los Angeles, dove sono accompagnate da un video che esalta soprattutto le energie cromatiche e luminose di quel paesaggio. Questa rappresenta anche la prima esplorazione con il medium del video, che l’artista intende proseguire, soprattutto in occasione dei prossimi viaggi in quei paesi. Callegari vuole infatti creare una no-profit che possa preservare in modo sostenibile il curanderismo, un sapere che si sta perdendo fra i giovani locali, ma che al contempo vede oggi una crescente curiosità da parte dell’Occidente, con appropriazione indebita e relativa speculazione in centri di cura gestiti da stranieri, che non sono di alcun supporto alla comunità.
Il tipo di figurazione che Callegari ha intrapreso trova la propria forza nelle riflessioni spirituali da cui muove, che portano la sua opera a includere urgenti implicazioni ecologiche e solidali. Al contempo, l’apparente semplicità di soggetti come poi la lontananza rispetto alle opere precedenti comporta il rischio che il pubblico non riesca veramente ad apprezzare questo nuovo ciclo, se non correttamente accompagnato da un racconto del tipo di esperienza e riflessioni che l’ha generato.