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panorama

Marta Spagnoli

Verona 1994
Vive e lavora a Venezia e a Mestre
Studio visit di Elena Forin
16 marzo 2024

Ho incontrato Marta Spagnoli dopo averla intravista nel corso del mio incontro con Chiara Enzo, con cui condivide lo studio insieme ad altre due instancabili sperimentatrici della pittura, Marta Naturale e Laura Omacini. Il testo di Elisa Carollo parla in maniera articolata della sua indagine: ho voluto fare questo studio visit per cercare un mio sguardo a tutto tondo sull’artista.

Dopo anni di predominanza installativa e concettuale, da qualche tempo la pittura è tornata finalmente ad avere le attenzioni anche di chi, come la sottoscritta, per un po’ di tempo si è rivolto ad altri linguaggi. Il mondo della critica sta registrando la presenza piuttosto estesa del mondo animale nella pittura: alcune ricerche ne enfatizzano l’aspetto fantastico, altre quello simbolico, altre ancora quello mitologico. Sono molti i livelli e i temi d’analisi e Marta Spagnoli nelle sue grandi tele sceglie la bestia per parlare dell’uomo e della sua più profonda natura. La sua narrazione restituisce infatti l’angoscia primordiale di questi ultimi anni, in cui il senso del limite si è spinto verso nuovi confini: la stratificazione pittorica dei fondi e il suo immergersi ─ ed emergere ─ nel bianco sono la traccia di questo muoversi verso qualcosa che lascia segni ben presenti ma poco definibili. Per questa parte specifica dei dipinti ha un certo peso l’interesse per le filosofie e le pratiche orientali, in cui il tutto e il niente si aprono a infiniti dialoghi che portano le immagini in una dimensione fuori dal tempo: i suoi animali, che siano singoli o in gruppo, guardando muso a muso lo spettatore, trasmettono questa tensione tra la corsa al tutto, la sosta e il tentativo di mimetizzarsi. Se per molti cicli di opere gli spunti sono letterari ─ come nel caso de Il cacciatore celeste di Roberto Calasso, cruciale per la serie Scavenger e il suo ragionamento sulla natura umana ─ la radice orientale che spesso viene riscontrata nella sua opera è una componente in qualche modo organica, che non deriva da un percorso di studio strutturato.

La incontro mentre sta lavorando alla mostra alla Galleria Continua di Parigi (19 gennaio – 19 marzo 2024): due grandi tele orizzontali sono terminate, mentre una verticale ha un disegno appena delineato. Sulle pareti trovo anche un dittico in fase di lavorazione e delle carte appese vicino alle opere: le chiedo di parlarmi del progetto espositivo che ha in mente e mi racconta di un lavoro concepito in maniera complessiva e coerente, in cui la sfida è anche nelle dimensioni ─ lei predilige i formati ampi ma gli spazi a disposizione sono labirintici. La presenza dell’animale è centrale nella visione che sta mettendo a punto, ma non è fine a sé stessa e si inserisce nel tema di una natura intesa come fusione di elementi materiali, organici, formali, segnici, sociali e spirituali. La iena, una figura repulsiva perché violenta e approfittatrice, è la specie che ha scelto come metafora dell’uomo: insieme a queste fiere in movimento sulla superficie dell’opera, vi sono lavori più piccoli come il dittico in cui filamenti naturali sembrano descrivere in maniera estremamente ravvicinata l’essenza e il movimento biologico di un corpo organico ─ che sia naturale, animale o umano. Le carte in polvere di pietra parzialmente idrorepellenti della serie Origin tendono invece all’assorbimento della figura e sfidano, tra sperimentazione tecnica e mancanza di controllo, l’emergere delle immagini dalla materia. Affiancati e posti in dialogo, questi elementi costruiscono un discorso profondo: forme diverse di linguaggio pittorico, trattamento del segno, rapporto tra immagine e sfondo, visione e architettura sono impiegati per toccare in vario modo quell’umano senso del tempo che unisce individuo, animale e cosmo.

Insieme a questi lavori ne vedo altri di matrice plastica: la forma nasce dal vuoto che si crea quando i palmi di due mani si accostano in gesto di preghiera. Il senso di questo corpo mi è chiaro ─ e lo trovo coerente con gli altri pieni e vuoti di cui parla il suo lavoro ─ ma la composizione che ha in mente non mi convince del tutto. Vedendo le immagini della mostra allestita, noto però che l’artista ha ben risolto la tensione tra la differenza dei materiali (ottone e argille allo stato grezzo) la quantità dei pezzi (abbondante, ma non eccessiva) e la loro distribuzione nello spazio: la natura della forma e il bilico che ogni elemento porta con sé aggiunge qualcosa al suo ragionamento sulla natura umana.

In generale, credo che la forza della sua visione risieda sia nella competenza tecnica e nella sfida che conduce all’interno del linguaggio pittorico, sia nella capacità di risvegliare aggressività e bellezza, delicatezza e sostanza, presenza e immaginazione, dettaglio e monumentalità, potenza e fragilità, materia e niente.

Foto dell’artista
Foto dell’artista