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panorama

Mariana Ferratto

Roma 1979

Vive e lavora a Firenze

Studio visit di Angel Moya Garcia

Mariana Ferratto è un’artista italo-argentina con base a Firenze, laureata all’Accademia di Belle Arti di Roma e con una formazione sul teatro danza. L’elemento essenziale della sua ricerca è il corpo come mezzo attraverso il quale indagare l’identità: il rapporto con l’altro, i rapporti uomo-donna e gli stereotipi ad essi associati. Il mondo intimo indagato dall’artista aspira a essere il paradigma di valori, sentimenti e gerarchie che dettano le regole della vita sociale sottolineandone gli aspetti contraddittori.

Il suo lavoro si declina prevalentemente attraverso la performatività, presentata per lo più in formato video, linguaggio in cui l’artista trova una maggiore incisività. Tuttavia, sia per pura sperimentazione, per esigenze temporali o per necessità di tornare alla manualità, si affida anche al disegno, al collage, al ricamo, alla scultura, senza mai perdere il filo tematico delle sue ricerche.

Nel contesto attuale, in cui la globalizzazione, i conflitti, i nomadismi o le questioni personali determinano un continuo flusso di persone che vogliono o devono rinunciare al luogo di origine, il lavoro di Mariana Ferratto si inserisce in quelle linee di ricerca che indagano la tradizione e l’emigrazione, lo spostamento dello sguardo che si verifica quando si compie il passaggio verso un’altra cultura o un altro Paese di appartenenza. Il tentativo di non abbandonare le caratteristiche della cultura di origine e la consapevolezza che l’assimilazione della cultura di arrivo non è, e non potrà mai essere completa, crea uno spostamento il cui risultato è un nuovo sguardo, un inedito modo di guardare e di confrontarsi con la realtà. Dalla nostalgia alla riscoperta dell’io, dalla crescita all’apertura, fino alla difficoltà, nuovi campi di analisi entrano a forza nel tessuto mentale e nell’operazione artistica di ogni sensibilità che sia tale, stimolando la capacità di inventare storie e prospettive.

Vincitrice dell’undicesima edizione dell’Italian Council per la sezione dedicata al ‘sostegno della ricerca di artisti, curatori e critici’, con il progetto Memoria de la materia, Mariana Ferratto ha vinto anche la call per residenze alle Murate di Firenze. In questi due contesti sta lavorando, in un atto di riconciliazione con il passato della propria famiglia, sulle comunità argentine di ex-prigionieri politici, esiliati dopo il colpo di stato militare del 1976. Attraverso interviste, in cui è emerso come, nella prima fase di prigionia e in determinate tipologie di carceri, uno dei meccanismi di annientamento fisico e psicologico fosse l’isolamento, il divieto di qualunque comunicazione e di attività, Mariana Ferratto sta ricostruendo una narrazione incentrata sui manufatti realizzati dai detenuti. Gli ex-prigionieri rivelano, a distanza di anni, come per alleviare la noia, per astrarsi dalla situazione contingente e soprattutto per mantenere viva la creatività presente in ogni essere umano, iniziarono a realizzare oggetti artistici e di artigianato con strumenti proibiti come ossibuchi presi dalle zuppe, chiodi, fili ottenuti sfilando asciugamani o pezzi di lenzuola e mattonelle prese dal pavimento. Manufatti lavorati in assoluta segretezza e che venivano scambiati in modo nascosto. Un tentativo di riscrivere una storia attraverso le tracce rimaste, di ricongiungere le vicende personali a quelle collettive,  dando voce alle testimonianze dei sopravvissuti, i quali hanno dovuto convivere con un passato che ha cambiato per sempre le loro vite.

Per le Murate, invece, lo stesso punto di partenza si declinerà attraverso la parte più creativa messa in atto dalle donne che erano state rinchiuse in una stessa prigione, come, ad esempio, la costruzione di una radio, per raccontare romanzi o la modalità di parlare tra di loro attraversi i tubi che si snodavano per il carcere all’interno delle pareti. Questi aspetti saranno formalizzati in sculture di creta da cui emerge un audio appositamente estratto dalle interviste a queste donne.

Sicuramente la necessità di sperimentare nuovi linguaggi, provando a uscire dalla propria comfort zone, fa sì che la formalizzazione, quando non preveda l’utilizzo del video, non sia sempre altrettanto incisiva, rischiando volutamente di aumentare il margine di errore. Contemporaneamente, l’urgenza di lavorare su aspetti estremamente personali per renderli universali, potrebbe essere limitante per l’esiguità di argomentazioni o per la ridotta possibilità di aprire nuovi orizzonti oltre il proprio corpo, oltre la propria storia. Tuttavia, grazie alla capacità di non confondere autoreferenzialismo con autobiografia e puntando su quest’ultima come elemento di partenza, Ferratto riesce a costruire opere in cui il corpo e l’identità trovano territorio di analisi nelle relazioni, definendo come la soggettività possa definirsi, costituirsi e svilupparsi solo attraverso il rapporto con l’alterità. Allo stesso tempo, la caparbietà, la costanza, la lentezza e la tenacia con cui lavora, la portano a prediligere i tempi lunghi, senza necessità di aumentare la produzione, senza paura di sbagliare o deludere aspettative che non siano le proprie, e questa modalità ha come esito una maturità che continua a stratificarsi costantemente.