Donoratico 1981
Vive e lavora a Livorno
Studio visit di Marco Trulli
marzo 2021
A Livorno, nelle vicinanze della sinagoga, si trova lo studio di Margherita Moscardini. La sua ricerca si articola in lunghi progetti che la portano spesso fuori dall’Italia, eppure, buona parte delle sue opere sembrano mantenere un filo invisibile di senso con la città, uno dei primi porti franchi d’Europa. Il suo è un lavoro immerso nel presente, con una vocazione prevalentemente pubblica, in quanto inscindibilmente connesso a ciò che accade fuori dallo studio, nella realtà e nello spazio urbano, con lo sguardo rivolto ai processi sociali, politici e culturali che attraversano i territori, uscendo così dal perimetro autoreferenziale “dell’arte per l’arte”. Per questo la produzione di Moscardini è scandita da una serie di progetti pluriennali che riguardano da vicino contesti socio-spaziali scossi da traumi, dentro mappe territoriali sensibili e in mutamento.
Nel periodo in cui ha lavorato a Istanbul (dove ha vissuto le rivolte e i conflitti di Gezi Park), la Moscardini ha maturato la convinzione che il suo lavoro dovesse contribuire a raccontare la realtà ma anche a diventare un mezzo di azione pragmatica sul presente, un dispositivo attivo. Non è un caso se tra i momenti più importanti della sua formazione cita le Utopie realizzabili di Yona Friedman, incontrato alla Fondazione Ratti dove era Visiting Professor nel 2008. Margherita Moscardini, in effetti, parte sempre da un livello di analisi che contempla elementi architettonici e urbanistici, sociologici e antropologici, che la portano spesso a prelevare porzioni di realtà trasformandole in immagini o sculture emblematiche, in grado di far emergere conflitti, stati di agitazione e aggregazione, utilizzando la materia come metafora o addirittura paradigma. In una produzione così articolata di progetti complessi, non mancano lavori isolati e circoscritti, che funzionano come punteggiatura nel suo percorso, momenti di riflessione e di approfondimento di tematiche contigue all’asse di ricerca principale. Nei lavori in cui l’artista si misura direttamente con contesti geopolitici complessi, come Le fontane di Za’atari, sviluppato nel biennio 2017-’18 all’interno del campo per rifugiati di Za’atari in Giordania, persiste sempre una impronta di realtà, un rimando fisico alle storie e alle geografie di riferimento.
Gran parte della produzione recente di Margherita Moscardini è incentrata sulla necessità di immaginare un altro modo di abitare il pianeta e di proteggere giuridicamente l’essere umano come cittadino, fuori dal vincolo dell’appartenenza e del legame di sangue. The High Seas of the Planeth Earth (2020) è una serie di sculture in vetro che rappresentano le zone franche dell’alto mare reimmaginate come luoghi abitabili e inappropriabili, stati dell’utopia, liberi dalla giurisdizione di alcuno stato, luoghi in cui potrebbero vivere gli esuli di tutto il mondo. In una terra inappropriabile le persone abiterebbero come straniere e allo stesso tempo residenti. Si materializza dunque una riflessione sedimentata nel pensiero dell’artista grazie allo studio dei saggi filosofici di Donatella Di Cesare e Hannah Arendt, rispettivamente sullo “straniero residente” e sul tramonto del modello degli stati-nazione. Le frasi in bronzo, come Inhabiting Without Belonging, si concentrano appunto sul superamento dei confini territoriali e della coincidenza tra stato e territorio, riferendosi, tra l’altro, alla radice comune ebraica delle parole “straniero” (gher) e “abitare” (ghur) e, in questo senso, esprimono letteralmente ciò che visivamente approfondisce la serie di disegni dedicati al popolo siriano, in cui l’artista raffigura masse in movimento in assenza di ambiente costruito, moltitudini che occupano i vuoti urbani e definiscono forme spaziali, la cui presenza è già città. «La città è la gente», come sostiene Hannah Arendt, e la gente si muove, le città si muovono e sfidano i desueti confini imposti dalle mappe geopolitiche, e sta anche agli artisti creare dispositivi critici, manomissioni del presente e varchi in una realtà paradossale in cui viene leso il diritto delle persone di spostarsi, migrare e di non appartenere a nessuna nazione. In questo senso risulta centrale per l’artista la vicenda storica e geopolitica che riguarda Gerusalemme, territorio conteso da decenni ma che viene immaginata qui come la terra di tutti, della cittadinanza universale. Per questo Moscardini realizza delle grandi carte (Terra 01, 2022) in cui la terra prelevata da Gerusalemme è utilizzata come pigmento, rimandando a un grado zero del paesaggio, libero da condizionamenti identitari o del potere. Le opere, così, diventano materializzazioni di utopie, prefigurazioni possibili che rispondono all’inadeguatezza della realtà, azzerando confini e invertendo i segni delle mappe convenzionali.
L’artista continua la sua indagine di impronta filosofica che, in questa fase, sembra mettere a fuoco i concetti cardine, come se ci trovassimo a uno stadio introduttivo di una fase della ricerca che potrebbe prefigurare una nuova immersione nel contesto geopolitico mediorientale.