Porto San Giorgio 1982
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Alessandra Troncone
21 giugno 2024
La formazione di Marco Strappato è multidisciplinare, nonché divisa tra città diverse: allo studio della pittura presso l’Accademia di Firenze sono infatti seguiti quelli in film e video all’Accademia di Brera e in scultura al Royal College of Art a Londra, dove è rimasto fino al 2017, prima di trasferirsi a Milano. Ha preso parte a numerose collettive in luoghi istituzionali, tra cui TU 35 EXPANDED al Centro Pecci di Prato nel 2017 e That’s IT! al Mambo di Bologna nel 2018. Nel 2016 è stato invitato da Domenico Quaranta alla XVI Quadriennale di Roma. L’ultima mostra personale è avvenuta nel 2022 a Roma alla The Gallery Apart, galleria con cui collabora stabilmente da ormai più di dieci anni.
La sua pratica ruota intorno allo statuto dell’immagine nell’epoca contemporanea, guardando sia alle sue strategie di produzione che di distribuzione: prendendo in esame il flusso di immagini cui siamo quotidianamente esposti, Strappato si muove tra media e linguaggi diversi, spesso giocando volontariamente su slittamento e sovrapposizione di codici. Succede ad esempio con l’opera Untitled (Manifesto) del 2014, traduzione scultorea della celebre collina dello sfondo del desktop di Windows, trasformata in icona. Spesso, nell’ambito della stessa opera, l’artista mette in dialogo linguaggi e dispositivi differenti: il video entra in sintonia con l’elemento scultoreo, la pittura con lo strumento meccanico. L’idea di paesaggio, ancorata a una dimensione naturale e materiale, trova connessioni con la tecnologia che rimanda invece all’artificialità e alla smaterializzazione. Significativi sono in tal senso i lavori Vettori (2019) e This place is really nowhere (2022): il primo è un omaggio a Luigi Ghirri, con cui Strappato condivide lo sguardo alla costa adriatica, nel quale le linee della composizione di alcuni scatti del fotografo emiliano vengono riprese attraverso un processo di ingrandimento e incisione su legno. Nel secondo, invece, il processo di incisione e poi di stampa è impiegato per la rielaborazione di immagini di paesaggio utilizzate come sfondi per cellulare, di cui conservano il rapporto d’aspetto. In dialogo con questa serie troviamo Orizzonte e altre linee, dove invece il processo di stampa è solo simulato a fronte della tecnica a olio su tela.
L’opera di Strappato si situa così nel preciso frangente generazionale che ha visto il passaggio dall’analogico al digitale, inglobando tale transizione in termini sia concettuali che formali. Campo di indagine privilegiato per l’artista è proprio l’interstizio tra il mondo virtuale e quello tangibile, con le conseguenze che derivano da tale condizione liminalea livello psicologico e sociale. Altro tema che emerge è infatti quello dell’evasione, come mostra l’utilizzo di immagini concepite per rilassare e farci estraniare da un contesto alienante, quale può essere il lavoro al computer o le tante ore trascorse davanti allo smartphone.
Il nostro studio visit ha luogo a ridosso dell’inaugurazione di un nuovo progetto per la Fondazione Menna a Salerno. Invitato da Gianpaolo Cacciottolo e Massimo Maiorino nell’ambito della rassegna Spleen, Strappato ha concepito una scultura al neon posizionata sul tetto dell’edificio che ospita la fondazione. Dalla forma di un bookmark sign, segnaposto che identifica un contenuto digitale preferito, Qui mi sento a casa è uno statement personale e collettivo, che risuona sia con la collezione custodita all’interno della fondazione che con lo sguardo aperto sul mare.
Attingendo a un bacino di immagini e riferimenti che si rifanno a una cultura digital-pop, la pratica di Strappato inevitabilmente si confronta con segni e icone molto riconoscibili, che, se non trattate con appiglio critico, rischiano di confondersi con il rumore digitale di cui quotidianamente facciamo esperienza.
Lo slancio a navigare l’infinito flusso di immagini nell’epoca che stiamo vivendo rappresenta senza dubbio un elemento di interesse, suscettibile anche di una dimensione più esplicitamente politica, verso la quale l’artista potrebbe orientarsi nel prossimo futuro.