Cerca
Close this search box.

panorama

Marco Maria Zanin

Abano Terme 1983
Vive e lavora a Padova
Studio visit di Elisa Carollo
10 marzo 2024

Marco Maria Zanin è un’artista che da qualche anno ha intessuto inaspettate ma interessanti connessioni tra la sua terra d’origine, il padovano, e il Brasile.

La sua indagine artistica assume spesso una dimensione antropologica, nell’indagare e riscoprire i significati, simboli e ritualità di una cultura ancestrale rurale, avviando un’interessante riflessione culturale ed etnografica sul patrimonio locale.

Al momento della nostra visita l’artista ammette che nel prossimo periodo vuole dedicarsi di più a una dimensione di studio e ricerca e da lì estendere la propria pratica a una dimensione sempre più relazionale e collettiva, esplorando la possibile valenza anche di cura e costruzione di comunità che l’arte può avere.

Tale tipo di approccio, in realtà, è stato anticipato dal progetto di residenza, Humus Interdisciplinary Residence, che ha portato artisti brasiliani a confrontarsi e operare una rilettura delle identità locali nelle aree rurali e marginali del Veneto. Come l’artista commenta, i colleghi brasiliani hanno questa interessante ‘antropofagia’ che ha permesso loro di assorbire la cultura locale, e restituirla in maniera del tutto inaspettata, in un movimento dialettico di appropriazione/assimilazione capace di rivelare interessanti parallelismi fra culture e identità così lontane, ma che condividono molto, in termini di sviluppo dell’umano a contatto con la terra, come spazio sacro e collettivo. La residenza è stata anche occasione per lo sviluppo di un modello di misurazione dell’impatto sociale di queste iniziative artistiche, sviluppato in collaborazione con l’Università di Padova e basato su un modello di analisi degli effetti della migrazione in determinati distretti, come quello delle pelletterie: al centro di tali modelli c’è una misura del livello di ‘contaminazione’ generativa del linguaggio, che si sviluppa e arricchisce all’interno della comunità grazie a nuove esperienze umane, inevitabilmente culturali, che portano allo sviluppo di una maggiore consapevolezza della propria realtà e del proprio contesto.

Già dall’impegno di Zanin in questo progetto possiamo intendere come la sua arte connetta la pratica estetica alle scienze sociali. Interessante è però notare come l’artista riesca poi ad applicare uno sguardo prettamente modernista di decostruzione dell’altro, partendo però da un altro che è profondamente locale e collocato in un passato remoto che lo rende oggi ‘estraneo’. Riscoprendo e analizzando, ad esempio, strumenti della cultura contadina, come nell’intervento al Museo della Civiltà Contadina di Torre del Mosto, l’artista ne riscopre la dimensione totemica e rituale: isolando ‘oggetti’ del passato, e da molti negletti, in composizioni e configurazioni inattese che applicano metodologie espositive dei primi del Novecento, l’artista ne riattiva la componente estetica e culturale, rivelando come questa esprima già una dimensione identitaria specifica.

Il risultato tangibile di questa ricerca sono enigmatiche composizioni fotografiche, all’apparenza senza tempo, e una serie di opere in ceramica che ricordano, nella loro essenzialità, l’arte cicladica o precolombiana, ma che traggono in realtà ispirazione dai più umili strumenti contadini, creando così enigmatici cortocircuiti fra atelier, arte, e display etnografico.

Nel corso della nostra visita, Zanin mi rivela la volontà di tornare a dedicarsi al suo dottorato per analizzare e interrogare a fondo il senso non solo estetico ma anche antropologico dei confini stabiliti fra arte e artefatto, fra artigianato e arti nobili, perdendo così una dimensione rituale che accomuna tutte le produzioni materiali ancestrali in diverse regioni del mondo.

Questa densa componente analitica dei suoi lavori rischia di circoscrivere la pratica di Zanin a una dimensione puramente speculativa e concettuale di ambito accademico se non proprio scientifico.

Tuttavia, è proprio questa dimensione antropologica, dedicata a una riscoperta della cultura e delle identità rurali pressoché unica nel panorama contemporaneo italiano e che sa tracciare anche parallelismi tra geografie e culture distanti tra loro, a rappresentare uno degli aspetti più affascinanti della sua pratica.