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panorama

Luigi Presicce

Porto Cesareo 1976

Vive e lavora a Firenze

Studio visit di Angel Moya Garcia
gennaio 2022

La situazione attuale, legata alla pandemia causata dal Coronavirus, ha provocato che gli artisti che regolarmente lavoravano con alcuni dei linguaggi che prevedono le relazioni, la messa in scena e il rapporto con il pubblico, si siano dovuti orientare verso altre pratiche, senza ovviamente snaturare la propria ricerca o forzare le proprie inclinazioni.

Un esempio paradigmatico è stato il caso della performance che ha subito, più di altri linguaggi, la riduzione delle opportunità e dei contesti pronti a sostenerla, l’aumento delle difficoltà per portarle a termine e l’annullamento o il rinvio della maggior parte delle date già ipotizzate. In questo orizzonte, Luigi Presicce ha deciso di impiegare le proprie giornate in un’altra delle pratiche prevalenti della sua ricerca, la pittura.

Nel suo caso si trattava di trovare un impegno quotidiano, costante e ripetitivo, insistendo nel gesto pittorico con la formalizzazione di almeno un quadro al giorno, anche di piccolo formato e senza nessun ritocco a posteriori. In questo senso, stare in studio è diventato per lui una forma di dialogo con sé stesso, per creare nuovi orizzonti che sono e rimangono solo nel quadro. Per questo motivo  ̶ e anche per l’inclinazione di Presicce a produrre massivamente nuovi lavori, ad accumulare tracce e a collezionare oggetti  ̶ lo studio è un complesso intricato di quadri, abiti, fotografie, stampe, oggetti vari o libri con cui costruisce per stratificazione il suo immaginario visivo. 

Le pareti dello studio sono affastellate di lavori pittorici in cui ad emergere prepotentemente è l’utilizzo di colori fluorescenti, squillanti, che non esistono in commercio e che vengono creati da Presicce attraverso la composizione di una pasta pittorica che gli consente di raggiungere tonalità e impatto visivo desiderati. Un’altra componente che si evince già dal primo sguardo è la riconoscibilità e la visibilità della pennellata in ogni lavoro, che denota la ricerca di una trama pittorica sempre evidente, scongiurando eventuali declinazioni illustrative dei soggetti. Questi ultimi emergono come figure bizzarre, fiabesche, al limite della realtà. Figure che abitano giungle, foreste, anche se questi contesti rimangono periferici rispetto alla centralità del soggetto, quasi sempre rappresentato isolato, nudo e con sembianze o atteggiamenti inusuali, mai in situazioni che possano rientrare nella normalità in cui l’essere umano vive nella contemporaneità. 

L’insieme ci porta ad aprire una riflessione su una possibile lettura dei lavori, vincolandoli a una rappresentazione dell’essere umano passato o futuro, a una ricerca sull’estinzione della razza umana o a una visione futuristica di essa. Tuttavia, occupandosi lui stesso di simbologia, spiritualità o visione celestiale della vita, i nostri discorsi rientrano e riportano tutti questi aspetti agli anacoreti e alla loro dimensione ascetica e solitaria.

Un aspetto particolarmente interessante della maggior parte dei suoi lavori è che Presicce parte da un’immagine attuale scaricata dai social, da riviste o da pubblicità, interessandosi a come le persone si mettano quotidianamente in mostra, come davanti a una camera del telefono o a un obiettivo e diventino tutti dei modelli. Parliamo della vetrinizzazione sociale, il fenomeno sociale contemporaneo che consiste nella progressiva spettacolarizzazione di sé stessi, della propria vita e di tutto ciò che è ad essa relativo, in cui l’animale uomo ritorna in forma di immagine presentata, ma come diorama. Una costruzione pensata per rimanere immobile ed eterna, come in un museo di storia naturale della nostra specie di cui Presicce si appropria per studiare la posa, intesa come elemento simbolico, come architettura del corpo umano che si pone in un determinato modo davanti a un pubblico visibile e frontale o virtuale e anonimo.