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panorama

Luigi Presicce

Nardò 1976
Vive e lavora a Firenze
Studio visit di Elena Forin
13 aprile 2024

Luigi Presicce è uno di quegli artisti che incontro regolarmente: il suo studio è un luogo in cui semplicemente mi fa bene passare del tempo e in cui mi capita sempre una piccola apparizione, e qualcosa (non solo del suo lavoro) che fatico a vedere d’un tratto diventa chiara. Questa volta ho anche l’opportunità di scrivere, e non mi sono lasciata scappare l’occasione.

Presicce si esprime principalmente attraverso pittura e performance, anche se disegno e scultura in ceramica non mancano all’interno della sua produzione. La sua figurazione è diversa da ogni altra e il suo lavoro non si può inscrivere in un sentimento, in un momento o in una tendenza.

Questa unicità di segno, di racconto, di suggestione e di riferimenti che si compongono in opera, rendono la sua indagine un’eccezionale eccezione che si nutre al medesimo tempo di autonomia dal sistema e di scambio continuo attraverso i dispositivi d’incontro che ha attivato con la Scuola di Santa Rosa, il Simposio di pittura, Polka Puttana o la Nuova scuola di Scilla. Appuntamenti che scandiscono la sua vita e il suo quotidiano e che, al pari della sua attività di studio, generano la sostanza tecnica e visiva del suo ricco immaginario.

In studio trovo, come sempre, opere su carta che ricoprono le pareti fino al soffitto. In alcuni casi, i disegni recenti coprono quelli più vecchi e muovendo gli occhi da un’immagine all’altra è possibile cogliere la storia del suo vedere attraverso le variazioni e i cambiamenti che si fanno strada ogni giorno nel suo incessante sperimentare. In questo nucleo la cifra più forte di novità è visibile nella presenza di un gruppo consistente di lavori a carboncino, in cui il colore ha lasciato il posto alla tensione tra bianco e nero. Queste opere nascono dall’elaborazione di una domanda che l’artista si è posto rispetto alla propria ricerca e al ruolo delle cromie nell’equilibrio complessivo dell’indagine: attraverso questo corpus è ben chiaro che il nodo intorno a cui ruota il suo interesse non è quello legato alle tinte e al loro sviluppo, quanto piuttosto al tema dell’artificialità. Nella produzione pittorica e in quella scultorea ─ trovo elementi in terra cruda che sta manipolando per creare un gruppo di oggetti ─ sta sperimentando la contaminazione dell’individuo e dell’ambiente con le icone, le iconografie e le simbologie che si collegano all’universo marino. Gli uccelli o le figure che ricordano le scimmie sono decisamente più rare, i peli sulle carni lasciamo il posto a squame e pinne, e gli ambienti hanno una natura più liquida: le fisionomie continuano però a contorcersi e allungarsi, e non manca neanche il ciclico comparire di certi elementi che in passato occupavano le superfici, come le ‘virgolette’ o le sigarette accese. In questi ultimi mesi ha dato più spazio al lavoro su carta rispetto a quello su tela: il disegno è forse più veloce, o forse è più organico il processo di elaborazione dell’errore che consente. La pittura, mi dice, ha qualcosa di instabile che si rischia continuamente di perdere: il quadro esposto in Triennale e altri due che vedo in studio hanno però assorbito questa instabilità e l’hanno perfettamente tradotta in quell’allucinazione toccante e vera che è la cifra unica del suo linguaggio.

Spesso viene notata la differenza tra i codici visivi delle sue performance e delle altre tipologie di opere: ne abbiamo parlato più volte e nel nostro ultimo incontro abbiamo convenuto su una posizione: siamo semplicemente di fronte a due linguaggi diversi. Perché quindi deve essere necessaria una coerenza visiva?

Questi due mondi affrontano aspetti, nodi, tensioni e dinamiche differenti e lo fanno mettendo in campo strumenti specifici. Il modo in cui affronta i soggetti però è simile e ha a che fare con una forma di cura, di avvicinamento e conoscenza che prevede un vero e proprio culto del dettaglio: i colori dei suoi dipinti sono creati appositamente da lui, gli oggetti di scena, le vesti, le architetture compositive traducono la lettura profonda delle storie e delle simbologie a queste latenti; le forme (sulla carta, in ceramica o sulla tela) tratteggiano personalità mai lineari, tanto esasperate in ogni minimo segno, quanto semplicemente dirette nel mostrare la propria innaturalità. Che sia l’esibizione di una creatura marina o il racconto delle Storie della vera croce, per Presicce cambia il modo attraverso cui dire, ma non la grandiosità della composizione, la potenza vibrante dell’iconografia e il valore struggente del messaggio.

Foto di Leone Maria Presicce