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panorama

Lucia Schettino

Castellammare di Stabia 1988
Vive e lavora a Napoli
Studio visit di Marcello Francolini
18 aprile 2024

Vorrei parlare della ricerca di Lucia Schettino attraverso la posizione che essa assume nei confronti di ciò che definiamo il “mondo dell’arte”. Esistono le opere prodotte dagli artisti, ma esiste poi l’uso che il mondo dell’arte fa delle opere. Di qui l’interesse sollecitato dal primo studio visit di Chiara Pirozzi, soprattutto sulla realtà napoletana in cui opera l’artista, l’Atelier Alifuoco, esperienza di coabitazione all’interno di uno stesso condominio. Certo è che dopo il Covid-19, gli spazi di presentazione degli artisti emergenti si sono ridotti e ancora una volta il mercato sembra riparare negli storicizzati e negli artisti mid career, al punto che ai nuovi artisti tocca riorganizzarsi in modo tale da assumere le vecchie-nuove forme dell’autogestione e cogestione di spazi e realtà indipendenti. Ciò al fine di garantirsi luoghi di libertà creativa e al tempo stesso sipari di autopresentazione.

Tra questi studi vi è quello di Schettino appunto, con la sua ricerca, nella sua declinazione ultima, ovvero la serie del Bestiario (2023-2024), che si pone in connessione con il lavoro di altri artisti della nuova generazione italiana, soprattutto nella sua controparte scultorea impegnata in un processo di ricostruzione mimetica della realtà, soprattutto in quest’ultimo anno e mezzo, da quando è passata dal prelievo di pezzi alla loro completa ricreazione (processo questo che testimonia ormai che l’artista ha interiorizzato le forme di natura). Il meccanismo di funzionamento delle sue opere risponde a quel tentativo di costruire un paesaggio performativo, da intendere non come un oggetto da osservare dall’esterno, ma come processo interattivo tra opera e fruitore. Il Bestiario stesso è una produzione anti-seriale mai del tutto definibile. È più un universo entro cui le singole opere possono essere continuamente reimpiegate in infinte installazioni modulate e rimodulate secondo un numero amplissimo di “situazioni”.

In questo senso, il lavoro dell’artista produce strumenti di potenziamento per l’immaginazione. Il Bestiario, così inteso, diviene il luogo in cui l’immaginazione sperimenta la facoltà di proiettare forme in altre forme e in altre ancora e così via. Schettino, nel fare ciò, rimette al centro della riflessione artistica la prassi pittorica intesa come azione analogica e, dunque, magica di riscrittura della realtà attraverso la metamorfosi delle materie. Così, il processo coincide con laforma di presentazione, cosicché le sue sculture-oggetto non si risolvono mai definitivamente e lasciano che l’attesa, nel fruitore, trovi il modo di colmare l’incompleto, con la forma interiore della propria esperienza.

Proprio il termine “esperienza” inizia a divenire aggettivazione della sua ultimissima ricerca rivolta alla costruzione di opere-laboratorio. Laboratorio relazionale (2023-2024) è un processo che l’artista svolge in cooperazione con altri. Quest’ultimi vengono coinvolti in una dinamica di lavoro individuale e collettivo sul rapporto tra parola e azione diretta sulla materia. Vengono così scelti dei predicati “universali” dall’artista che guida i partecipanti in una manipolazione-scoperta nel senso individuale, “particolare” del proprio significato, che viene fuori dall’atto stesso di creazione e ricreazione. L’azione scultorea diviene così propizia alla serendipità.

Quest’ultimo lavoro mostra ancora lo sforzo di cui abbiamo parlato a inizio testo, che si rispecchia nella dimensione stessa dell’Atelier Alifuoco, l’autocostruzione del proprio pubblico, che finisce per strutturarsi come una comunità che partecipa integralmente al processo di creazione dell’opera e che da questo processo trae una socialità come naturale conseguenza dei rapporti diretti tra le persone. Questo potrebbe essere un bene o un male per l’artista, ce lo dirà il tempo. Lasciare la via sicura della vendita diretta in galleria per costruire una comunità producentesi attraverso un’economia a volte, e spesso, indiretta. Tali presupposti mostrano un potenziale compito che, se l’artista saprà arrogarsi, potrà ispessire il senso generale della sua ricerca. La mimesi come strumento magico di allargamento della realtà spirituale, visto il terribile restringimento sempre più prossimo latente della realtà ordinaria.