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panorama

Luca Vitone

Genova 1964

Vive e lavora a Milano e a Berlino

Studio visit di Marco Scotti

Lo studio di Luca Vitone è nascosto nell’angolo di un grande cortile, dietro la facciata di un palazzo milanese a due passi da Porta Romana. «Per un’artista come me lo studio è il luogo di riferimento. Un luogo in cui si pensano i lavori, in cui passo la giornata. Ho vissuto una decina d’anni a Berlino ma il mio studio e il mio archivio sono sempre stati qui, dal 1996». La ricerca di Luca Vitone oggi è al tempo stesso strettamente connessa alle occasioni espositive. Una prima linea di ricerca è quella legata al concetto di monocromo, che trova i suoi esiti negli acquerelli su carta realizzati con polveri di spazi interni e nelle polveri ambientali, che vanno a comporre una serie di lavori dedicati al paesaggio, autoritratti nei quali sono gli agenti atmosfericidei diversi luoghi a intervenire direttamente sulla tela, esposta per tempi lunghi.

Negli spazi della Galerie Rolando Anselmi di Roma, in occasione della mostra Ancora su Villa Adriana, sono esposte in questi mesi le tele sulle quali si è auto-rappresentata la celebre villa, uno dei luoghi simbolo del potere che ritorna nel lavoro di Vitone. Dopo la grande mostra dello scorso anno al MAXXI di Roma e nel parco archeologico a Tivoli, una seconda serie di lavori, anche qui affiancata a quattro interventi dell’artista sui Capricci piranesiani dedicati alla villa, è nuovamente in mostra, in attesa di attraversare l’oceano per raggiungere le sale del Museu de Arte Contemporánea da Universidade de São Paulo, progettato nel 1954 da Oscar Niemeyer.

La mostra D’après (De Pisis-Paolini) ha invece aperto da pochi giorni al Museo del Novecento di Firenze: un intervento che nasce da un dialogo con il curatore Sergio Risaliti e che muove dall’idea di dedicare le opere ai due maestri citati nel titolo, che con Vitone condividono le sale espositive del museo in questo momento. Quattro lavori che si affiancano ai due collage di Giulio Paolini dedicati al maestro ferrarese e ai quarantotto quadri di Filippo De Pisis in mostra, tutti riferiti e incentrati sulla pratica della pittura. Il primo è un erbario, realizzato con i 43 alberi di Genova nel bosco, il lavoro di Vitone all’interno del parco del ponte di Genova, realizzato sotto il nuovo Viadotto Genova San Giorgio grazie al raggruppamento formato da Stefano Boeri Architetti come capogruppo, Metrogramma Milano nella parte di progettazione architettonica e Inside Outside | Petra Blaisse. Un riferimento alla passione di De Pisis per queste raccolte, oggi custodite nelle collezioni civiche della città di Padova e, al tempo stesso, declinazione ulteriore di un lavoro che muove da una tragedia per riflettere sulla memoria individuale e collettiva, con il numero 43 a ricordare le vittime del crollo del Ponte Morandi, traslato attraverso l’anagramma del nome (come già nell’opera Vuole Canti del 2009) in una dedica a 43 liguri rimasti nella Storia. Il secondo lavoro di Vitone è composto dalla sedia del suo studio, una Thonet S64 disegnata da Marcel Breuer (oggi qui sostituita da un’anonima seduta), su cui è appoggiata una bambola di pezza, ritratto dell’artista che gli fu regalato da una coppia di amici artisti negli anni Novanta. Il riferimento è a una fotografia che ritrae De Pisis al lavoro nel suo studio veneziano, con un fantoccio che lo ritrae appoggiato sulla sedia che gli sta accanto. E questa immagine, ripetuta centinaia di volte, è portata da Vitone anche sulle pareti del Museo del Novecento, trasformata in una carta da parati in dialogo con l’installazione e con i lavori di De Pisis a cui va a fare da quinta. A partire da una coincidenza, Vitone lavora su un dialogo tra la dimensione personale, autobiografica, e quella più universale, interna alla storia dell’arte, muovendosi liberamente tra appropriazione e indagine. Due monocromi completano la mostra: un acquerello, realizzato con la polvere raccolta nello studio di Giulio Paolini in via Po a Torino, e l’odore de Il gladiolo fulminato, quadro del 1926 di De Pisis custodito al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea “Filippo De Pisis” di Ferrara, ricreato da Vitone e dal naso Maria Candida Gentile: «è un’opera che rappresenta un momento magico, che lui ha colto da grande artista, lo immagino come un colpo di vento che spalanca la finestra e colpisce quei fiori già un po’ appassiti». Ultima di una serie di sculture olfattive riconducibili al tema del monocronomo, “manzonianamente acromatiche”, questo lavoro, composto esclusivamente da un’essenza appositamente progettata, riempie gli spazi lavorando su memoria e immaginazione, rappresentazione invisibile con un significato formale.

È una mostra, quella di Firenze, da cui emerge in maniera forte l’idea dello studio come luogo topico dell’esistenza, un tema che ci riporta ai progetti in cantiere. «Dopo la personale al PAC di Milano del 2017, vengo da una serie di mostre per me importanti, Il Canone allo CSAC di Parma, Romanistan al Centro Pecci di Prato, MAXXI e Villa Adriana. Intanto continuo a lavorare sull’idea di monocromo. E vorrei fare un nuovo viaggio, dopo aver percorso a ritroso il cammino delle migrazioni di Rom e Sinti dall’India nord occidentale fino all’Italia, ma di questo vi parlerò più avanti…».