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panorama

Luca Trevisani

Verona 1979

Vive e lavora a Milano

Studio visit di Marco Scotti

A pochi giorni dall’apertura di Arte Fiera incontriamo Luca Trevisani nel suo studio di Milano, mentre prepara l’allestimento di Ai piedi del pane, una commissione di Xing concepita per il programma Oplà. Performing Activities 2022, pensata per permettere ai visitatori di camminare tra i padiglioni bolognesi con scarpe dalle suole costruite con il più essenziale dei nutrimenti. Ulteriore capitolo in un ciclo di lavori dedicato alla tecnologia e a uno dei suoi simboli più potenti, letto attraverso la storia e interpretato in senso scultoreo, questa esperienza rende per la prima – e ultima – volta esperibili questi oggetti: «è un modo per far capire come noi, quando camminiamo, non siamo su una superficie neutra, c’è uno scambio di energie». Il pane è stata una materia centrale nel lavoro di Trevisani negli ultimi anni, protagonista di un ciclo che ha visto tra gli esiti la vittoria del bando Cantica21 e la realizzazione di Mobili radici, un gruppo scultoreo composto da 20 suole di scarpe, ovviamente prodotte nello stesso elemento e destinate alla collezione del MAXXI di Roma. La chiusura di questa serie dedicata alla cultura materiale sarà un film, che affiancherà immagini e riflessioni sull’idea di un rapporto con il mondo letto attraverso gesti come fare il pane e camminare, e un libro, edito da Nero. Questo sarà una copia anastatica della prima edizione inglese de Il pane selvaggio di Piero Camporesi, dove l’artista interverrà su ogni pagina, inserendo le immagini dei propri lavori, rendendo le parole originali leggibili solo in alcune minime parti e riportando a lato i suoi testi dedicati alla ricerca. 

Le scarpe che vediamo ora in studio, pronte per essere messe alla prova sul suolo emiliano, sono presentate su supporti realizzati a partire da un legno lavorato, bruciato, trattato per far emergere i segni del tempo e della vita dell’albero, estremamente scultorei, con forme che guardano a scultori come Isamu Noguchi, senza rinunciare a una funzionalità esibita. All’estremità dello studio lo spazio è invece dedicato alla preparazione di una serie di lavori per una mostra alla galleria Mehdi Chouakri di Berlino, prevista in autunno. Qui, su una serie di lastre di marmo, Trevisani ha appoggiato dei limoni tagliati a metà: gli acidi degli agrumi con il tempo incidono la superficie, creando pattern irregolari che restituiscono le forme naturali. «Si ricollega alla mia ricerca sui fossili: in questo caso appaiono come fossili impossibili di limoni, e quindi rimandano a un’idea di natura sconosciuta. Ma è una cosa reale in fondo, sono semplici agrumi appoggiati sul marmo». Proprio come sulle carte esposte alla mostra In bocca alla galleria Pinksummer dello scorso anno, al cibo è affidato un ruolo fondamentale, come origine dell’immagine che porta con sé una serie di significati legati alla forma come alla nostra storia culturale. Un’altra serie di lavori, sullo scaffale di fronte, lavora invece direttamente sui fossili, imprimendo con stampe ai polimeri su questi resti di 320 milioni di anni motivi ripresi dalla Wiener Werkstatte. Le superfici vengono prima scansionate in tre dimensioni, per mantenere le immagini sempre a fuoco aderenti alle superfici e, successivamente, l’intero fossile passa in un forno ad alte temperature per il fissaggio dei colori. «Ci ho messo quasi cinque anni a completare questo lavoro, è apparentemente semplice ma, in fondo, intervenire in questo modo su qualcosa di così antico prevede una cattiveria e una perentorietà incredibile. Tutto il mio lavoro, oltre che con la tecnologia e la natura, ha a che fare con il tempo». La ricerca della stampa su elementi naturali era iniziata a Berlino, usando come supporti foglie di banano oppure di loto, perché ogni settimana un aereo arrivava in città e le portava ai ristoranti vietnamiti o thailandesi, in modo che potessero usarle per servire il cibo. Ora le foglie provengono dall’orto botanico di Palermo, sono di piante come Monstera e Strelitzia, e condividono la provenienza esotica e la capacità di essiccare. «Anche questo è come un cavallo di Troia, sicuramente ha un valore decorativo ma in fondo vuole mostrare come noi non capiamo nulla del mondo naturale. Ma lo dice in una maniera abbastanza ambigua». E lo studio? Dopo anni passati a Berlino e poi a Palermo, oggi Luca Trevisani ha uno spazio qui, tra Crescenzago e Precotto, che per anni ha chiamato ‘camera di crescita’, dopo l’incontro con un botanico che gli aveva mostrato i luoghi per gli esperimenti e lo studio delle piante. Oggi invece lo definisce una trincea, dove lavorare con la materia e le proprie mani, prendersi i rischi del caso, per poi riflettere. «È una questione molto personale. Un mese fa mi sono fatto molto male mentre ero al lavoro, mi sono tagliato un tendine con un flessibile, e mi colpiva come quasi mi vergognassi di raccontarlo alle persone. Tutto il mio lavoro consiste nel ricordarmi e ricordarci quanto la materia sia importante, quanto noi non abbiamo un corpo ma siamo un corpo e, di conseguenza, come i corpi non siano neutri. Quando ti fai male emerge la divisione che abbiamo ancora in testa tra arti alte e basse, e in uno studio come questo, pieno di polvere, rischi di sentirti un artigiano, quasi come se questa fosse una colpa da espiare. È una cosa che facciamo fatica a scardinare, per me lo studio è un luogo di lavoro intenso. Se lavori con le mani fai un lavoro lento, hai bisogno di andare in profondità di tutta una serie di conoscenze, e il mondo in cui viviamo è veloce. Ma l’unico modo che ho per pensare certe cose è di farle».