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panorama

Luca Pancrazzi

Figline Valdarno 1961
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Lorenzo Madaro
21 aprile 2024

Una pagina fondamentale per la storia dell’arte italiana degli ultimi trent’anni spetta certamente a Luca Pancrazzi, per tutto il suo lavoro di costruzione e rielaborazione di immagini, di soglie, di paesaggi d’interni o di architettura o di natura, attraverso una pittura – anche nelle sue declinazioni tridimensionali – che intrinsecamente è entrata nelle maglie della percezione visiva.

Dagli anni Novanta vive a Milano, epicentro di tutto il suo percorso di osservazione che riguarda, anzitutto, la percezione visiva. Si è formato a Firenze e, dopo gli studi, prima collabora con Sol Lewitt a New York e poi a Roma con Alighiero Boetti. Tra le mostre più significative – dopo la prima personale alla Galleria Margiacchi di Arezzo del 1991 –, la personale da Emilio Mazzoli a Modena nel 1996 e poi la successiva collaborazione con Galleria Continua. Tanti i progetti in realtà istituzionali italiane e internazionali: Biennale di Venezia (1997), Whitney Museum of American Art at Champion (1998), Quadriennale di Roma (2008), Pac di Milano (2004), Palazzo Te (2016) e molte altre.

La ricerca di Pancrazzi si concentra – attraverso pittura, scultura, disegno, installazione, fotografia e video – sulla percezione di una realtà introiettata, in quel paesaggio/passaggio veloce che si imprime nella retina dell’occhio e che osservi passando velocemente a piedi davanti a oggetti, in auto dinnanzi a un paesaggio metropolitano o comunque a un luogo antropizzato. Pancrazzi riflette non tanto sulle immagini – o almeno non soltanto –, ma su come le immagazziniamo nella nostra memoria interna, visiva e anche emotiva. Non a caso l’artista è molto attento al concetto di archivio e, nel suo grande studio a Milano, ha una enorme quantità di immagini fotografiche, appunti visivi che raccoglie da diversi decenni, alla base di tutto il suo discorso.

Con il suo metodo – che in realtà accoglie tanti metodi, che ha a lungo sperimentato, dialogando anche con alcune modalità di lavoro ereditate da Boetti (l’utilizzo del collage, l’importanza della carta o dei fogli forati) – ci insegna non soltanto a osservare, ma a riflettere sulla memoria attiva e su quella passiva delle immagini nel nostro stesso immaginario. Ci aiuta a osservare, ci consente di farlo con meditata coscienza, con sistematica attenzione.

In una fase storica e sociale in cui i confini sono disgraziatamente ancora intralci della geopolitica e di altre complesse sfaccettature della realtà (e del suo immaginario), il concetto di soglia rimane di stringente urgenza per le riflessioni sul presente anche da parte degli artisti. La storia dell’arte ci ha consegnato dei fondamentali sviluppi sul dibattito circa il superamento della soglia della pittura o della scultura, quindi del superamento della cornice o del piedistallo, che da oltre un secolo appassiona chi si occupa di questi specifici linguaggi. Nel mentre la filosofia ha definito quanto il mito sia spesso fondato proprio sulla soglia intesa come confine, ovvero come divisione (il mito biblico, per esempio, ci riporta alla divisione del cielo dalla terra), che poi è parte integrante delle nostre valutazioni quotidiane. La Storia ci pone invece esempi come la vicenda di Cesare e del Rubicone o i confini tra le terre e le riserve. Ma la soglia, a pensarci bene, appartiene anzitutto alla vita e quindi al nostro stesso agire collettivo. Oggi, la soglia sta a significare un limite che non si può oltraggiare, che non consente di muoversi con disinvolta libertà tra due nuclei distinti. L’arte però ha questo potere, quello di escogitare piani di fuga, di consentire agli artisti forme serrate di dialogo. Luca Pancrazzi lo sa bene. Nel suo lavoro la soglia riguarda l’architettura, la stratificazione di materiali e materie, ma anche il confine tra l’immagine e la sua astrazione, come accade nei lavori più recenti esposti da Totah a New York, in cui i dettagli della luce sulle fronde degli alberi assumono un’autosufficienza visiva talmente lampante da diventare pura campitura cromatica, astrazione.

Anche l’editoria – da sempre – assume un ruolo primario nel lavoro di Pancrazzi, rivelando un aspetto progettuale che contraddistingue e informa anche tutto il suo percorso pittorico. I cataloghi delle mostre, i libri d’artista, le monografie su alcuni specifici cicli del suo lavoro, sono parte integrante della sua pratica artistica. Oggi, passati quasi quarant’anni, tutto questo viaggio andrebbe raccolto in un unico grande progetto editoriale capace di generare un pensiero più corposo attorno al lavoro dell’artista, che potrebbe apparire mono direzionato e invece è denso di infinitesimali sfaccettature.

La sua è una pittura che interroga sé stessa, anche nei suoi medesimi strumenti, basti pensare a un ciclo di lavori degli anni Novanta dedicato ai tavoli da lavoro in studio. Non c’è mai nostalgia, ma sempre transito, una ricerca costantemente rimessa in discussione. Non a caso non lavora mai per cicli che iniziano e finiscono in uno slot specifico, ma per nuclei di lavori aperti, che riprende e ripensa costantemente anche a distanza di anni per portarli su un’ulteriore soglia, rimescolando nuclei, rammentando spazi, costruendo altre architetture.