Gagliano del Capo 1981
Vive e lavora a Lecce e a Roma
Studio visit di Lorenzo Madaro
Imaginary Holidays (2014) è il lavoro di Luca Coclite che mi è rimasto più impresso, non tanto per la sua carica estetica densa e per il suo carattere performativo (pieno di stupore, considerando anche il luogo in cui si è manifestato, la Colonia Scarciglia di Santa Maria di Leuca), ma perché è stato in grado di chiarire con estrema efficacia i paradossi di un luogo, quello d’origine, che l’artista interroga ormai da quasi un decennio con uno spirito critico mai retorico. Un luogo ormai abbandonato, su cui oggi investono visioni imprenditoriali e politiche destinate al turismo e all’intrattenimento, un tempo era una colonia abitata d’estate da bambini di differenti geografie, che in questo lembo di terra in cui lo Ionio e l’Adriatico quasi combaciano, trascorrevano alcuni periodi di (relativa) spensieratezza. La frase tridimensionale Imaginary Holidays, fronte mare, è stata invasa da una massa fumosa che per qualche istante ha trasformato lo skyline, cancellando il profilo sventrato della facciata dell’edificio. Siamo nel Capo di Leuca, limite estremo della Puglia: qui Luca Coclite è cresciuto e ha elaborato il suo immaginario, in grado di rintracciare radici profonde in un discorso che dal sociale si riversa proprio verso un’estetica che include memoria e architettura. Questo doppio discorso, ossia l’elaborazione di un pensiero visivo sulle tracce lasciate dal passato recente e una ricognizione sulla natura di edifici di specifiche epoche, riguarda strettamente Coclite e il suo lavoro, che è in grado di muoversi dalla performance al video, alla fotografia, all’installazione. Gli interessa la ‘risonanza virtuale’ e il ‘conflitto’ che si genera tra reale e immaginario di una terra che, come altre (ma sarebbe interessante vederlo agire anche lontano da qui, per comprendere come le dinamiche che sono alla base della sua ricerca possano declinarsi anche scontrandosi con radici differenti), vede sotto i propri occhi una inconciliabile involuzione che si verifica, da un lato con un’esasperazione assoluta del turismo di massa e, dall’altro, con una graduale dimenticanza nei confronti di tutti quei luoghi ‘altri’ rispetto al solito giro monumentale che incanta gli sguardi dei più. E poi analizza storie reali, come quelle del centro di accoglienza temporanea Regina Pacis sul litorale adriatico salentino, per anni al centro di follie e brutalità di cui molti immigrati sono stati vittime (Hall, 2018, altra videoinstallazione pregnante di Coclite).
Proprio per evidenziare ulteriormente il suo interesse verso una grammatica visuale che parte dal reale per sfondare sé stessa verso i territori dell’impossibile o dell’improbabile, all’artista capita di concepire collage tra brani di paesaggio reale innestati ad altri elementi, soprattutto architettonici. Potenzia così, attraverso il digitale, vedute di architetture rurali, come nel caso del recente Deep Site (2021), presentato nello spazio Linea a Lecce qualche mese fa. Il ciclo custodisce una serie di opere scultoree, video e fotografiche, che si concentrano sulle architetture rurali modificate, spazi dell’utopia e del lavoro, luoghi in grado di farci rintracciare nuovi brani di paesaggio, ma anche finalità specifiche, come il lavoro, in case abitate da donne che ben prima del Covid19 e del lockdown e quindi dello smartworking, utilizzavano il proprio teatro domestico come spazio per il lavoro per le aziende tessili del Salento degli anni Ottanta e Novanta (e del presente). Coclite si concentra su questo aspetto peculiare del lavoro non certo perché sia un artista che ama la narrazione (esattamente il contrario, perché è sempre molto studiata e asciutta la sua formalizzazione e questo è un dato di fatto del suo percorso, soprattutto di quello degli ultimi anni, assolutamente intenso), ma perché nell’analisi del contesto in cui agisce, attraversa anche questo tipo di riflessione. Accade anche in altri ambiti, come le vedute ‘sbagliate’, brani di paesaggio costiero che si innestano a paradossali dettagli che interessano le trasformazioni dei luoghi dovute alla vita del reale e alle azioni antropiche. Sono temi che riguardano anche il suo impegno con Casa a mare (2015), il progetto che con Giuseppe De Mattia e il curatore Claudio Musso riguardava una mappatura delle stravaganze e del folclore che parte proprio dalle architetture dei luoghi di vacanza, icone di una nuova architettura, quella dei singoli, delle eccentricità involontarie, che sono termometri delle temperature del gusto italiano degli anni Settanta e Ottanta.
Attualmente Coclite cura, con Laura Perrone, Studioconcreto, spazio indipendente che si occupa di pratiche curatoriali e progetti di artisti di varie generazioni. Anche in questo si evince il suo impegno verso ciò che gli è prossimo, visto che attraverso la loro operatività, lui e Perrone, stanno portando avanti un discorso coerente anche in termini di recupero di personalità obliate come Norman Mommens, artista belga che negli anni Settanta approdò in Salento e qui dovette poi affrontare le trasformazioni in atto del paesaggio rurale e costiero, dovute al boom turistico inarrestabile.