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panorama

Lorenzo Montinaro

Taranto 1997

Vive e lavora a Milano

Studio Visit di Lorenzo Madaro

È giovanissimo, Lorenzo Montinaro, ma sta dimostrando di impegnarsi molto in una propria ricerca che lo impegna costantemente. È nato a Taranto, città che ha lasciato giovanissimo dapprima per studiare all’Accademia di Belle Arti di Roma e poi allo IUAV a Venezia; ora vive a Milano, dove ha uno studio condiviso con altri artisti. Ed è infatti qui che ci vediamo per approfondire il suo lavoro. Ma partiamo da qualche riferimento alla sua biografia, ancora molto scabra, ma d’altronde ha appena finito di studiare, eppure il suo studio è pieno di lavori, che si porta dietro da un po’ e che affianca ai nuovi nati, in una sorta di processo di accompagnamento.

Dal 2020 Lorenzo fa parte del collettivo multidisciplinare Friche, mentre dal gennaio 2022 è stato artista residente negli studi di Viafarini a Milano. Nel 2021 ha partecipato alla mostra What the Fuck Is Prosperity da A plus a, a cura di Curatorial School a Venezia e, l’anno dopo, è stato invitato alle mostre Salon def refusés, a cura di Metareale, presso Spazio Canonica a Milano, Visioni (s)velate a Viafarini, a cura di Elena Bray, E ci fa dispetto il tempo, da Sottofondo Studio ad Arezzo, a cura di Elena Castiglia, Abitare lo spazio,nell’ambito del Festival delle arti della Giudecca, a cura di Giulia del Gobbo, Monumento nel calendario di Bolzano Art Weeks a cura di Nina Stricker, ReA! Art Fair alla Fabbrica del vapore di Milano, mentre è del settembre scorso la sua personale da Casavuota a Roma, a cura di Francesco Paolo Del Re e Sabino De Nichilo, dove è emersa a fondo la complessità del suo lavoro.

Montinaro riflette sul tema della memoria, per farlo, negli ultimi anni ha scelto come punto di partenza le vecchie lapidi recuperate dai marmisti vicino ai cimiteri: le preleva – sono quelle destinate all’oblio, perché riguardano le salme già trasferite altrove o nell’ossario del cimitero – e ne cancella parte delle iscrizioni con un lento e rituale lavoro di scalpellino in studio. Alle volte salva singole lettere che, associate tra loro sulla superficie marmorea, compongono parole paradigmatiche o veri e propri epitaffi. «Sapevo già che avrei fatto l’artista o il giocoliere, da bambino», mi racconta, mentre sul suo tavolo sono accatastati tanti libri, tra cui Cedi la strada agli alberi di Franco Arminio, Canzoniere della morte del poeta salentino Salvatore Toma – nome straordinario non a caso amato da Maria Corti, che lo pubblicò per Einaudi – e Morte e pianto rituale di Ernesto De Martino.

Immediatamente, la formalizzazione del pensiero di Montinaro fa venire in mente tutto il discorso di Salvo. Potrebbe essere un punto di debolezza, ma nonostante la lapidaria ironia (e tragicità) del lavoro del maestro torinese, l’impegno di Montinaro persegue non soltanto altre tematiche, ma anche altri processi. Lorenzo, difatti, recupera le sue lastre, lascia sulla loro superficie i segni del tempo e delle scritte che le componevano. Sarà stimolante notare gli sviluppi del suo lavoro, la sua capacità di cambiare pelle rimanendo fedele ai suoi temi. “Alla vostra luce preferisco la mia oscurità”, “E muore la morte in me”, “Impiccatevi”, “L’odore della pelle di mia madre”, “Ora basta”: gli epitaffi che si rintracciano negli ultimi lavori richiamano alla mente il rapporto intimo che Montinaro traccia con la morte e le sue sfaccettature, adottando un discorso metalinguistico, considerato che il punto di partenza di ogni singolo lavoro è la lastra marmorea cimiteriale. C’è qualcosa di ironico e di drammatico nel suo lavoro, poi c’è la scrittura che si costruisce sul marmo, e poi c’è il desiderio di «prendersi cura di qualcosa che andrebbe distrutto», racconta. Sembra un gesto violento quello della cancellazione di ciò che è scritto sulla lastra al momento in cui l’artista la prende in consegna, ma in effetti è un sintomo di cura, poiché altrimenti quella lastra finirebbe nell’oblio. «Ho molti parenti sepolti al cimitero del quartiere Tamburi di Taranto», racconta, riferendosi a uno dei quartieri più complessi della sua città, a un passo dall’Ilva. «Mia madre mi portava spesso al cimitero, ho sempre avuto questa sana abitudine di sentire un cimitero come altro, non come qualcosa di drammatico». Difatti nel suo lavoro non esorcizza alcuna paura, bensì apre una strada di riflessione. Risiede qui la forza della ricerca di Montinaro, con la capacità di concepire questi nuclei come parte integrante di una sorta di autoritratto espanso e costante.

Foto Luca Verardi