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panorama

Lorenzo Montinaro

Taranto 1997
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Edoardo De Cobelli
28 giugno 2024

         

Ricordatevi che dovete morire. Nella società che più di ogni altra fa di tutto per dimenticarsi della morte, del decadimento, della vecchiaia, Lorenzo Montinaro sceglie di vivere all’esterno di quella condizione di ‘eterno presente’ che caratterizza il nostro periodo storico e affondare la sua ricerca nel senso del tempo e della perdita. Nella penombra del suo studio di Corvetto, mi ha raccontato di come passi spesso il proprio tempo tra il Cimitero Monumentale di Milano e i laboratori di lapidi, i cui scarti riutilizza nelle sue opere. A dispetto di quello che potrebbe sembrare, trovo il suo ‘stare nella morte’ un esercizio di sanità mentale. Tra i giovani artisti in Italia, compresi quei pochi che affrontano l’argomento (come l’altrettanto bravo Giuseppe di Liberto, o come fa in parte Rebecca Moccia), è Montinaro a fare del memento mori la sua vocazione. Originario di Taranto, ha studiato a Roma e a Venezia, dove la sua pratica si è evoluta e definita, per poi trasferirsi a Milano. Come suggerisce Madaro nel precedente studio visit, c’è qualcosa di ironico e drammatico nel suo lavoro. Icone, lapidi e sigilli trascrivono nomi di persone scomparse, ricostruendo frasi proprie e affermazioni evocative a partire da frammenti e cancellature.

Parlando di Taranto e di tematiche scabrose e avvincenti, Montinaro mi racconta uno dei testi che più lo hanno influenzato: il lascito del poeta salentino Salvatore Toma. Morto suicida a 36 anni, il poeta intitola il suo ultimo scritto Il Canzoniere della morte, nel quale affronta l’argomento della morte in maniera consapevole, sprezzante e coraggiosa. Scriveva così:

Quando sarò morto
che non vi venga in mente
di mettere manifesti:
morto serenamente
o dopo lunga sofferenza
o peggio ancora in grazia di dio.
Io sono morto
per la vostra presenza

E ancora:

A questo punto
cercate di non rompermi i coglioni
anche da morto.
Non state a riesumarmi dunque
con la forza delle vostre incertezze
o piuttosto a giustificarvi
che chi si ammazza è un vigliacco:
a creare progettare ed approvare
la propria morte ci vuole coraggio!

Montinaro riprende dal poeta la stessa dimestichezza nel parlare di tematiche macabre e taboo come possono esserlo la morte e il suicidio. Secondo il sociologo Èmile Durkheim, il suicidio è una patologia sociale propria in particolare delle società contemporanee, e risulta criticamente riduttivo parlare di ritorno dell’esistenzialismo e alla dimensione privata nell’arte oggi, quando altri importanti come questo vengono messi da parte.

Guardandosi intorno nello studio, lo sguardo cade su alcune gazze ladre impagliate e delle opere di marmo con fotoceramiche ovali e rose nere, recentemente esposte da Galleria Ramo e Contemporary Cluster. Sulla parete, una nuova serie di lavori, delle marmografie di cui mi spiega il significato: quando, in fase di lavorazione, le lapidi vengono bucate per fare i fori delle fioriere, il laboratorio mette una lastra di marmo per evitare che il buco rovini la successiva. Si crea così una matrice fitta di fori e semicerchi, come costellata di simboli. Da ognuna di queste stratificazioni nasce un’opera a parete. Da tempo Montinaro sta invece lavorando a un ambizioso progetto nel Duomo di Taranto. Una serie di opere disposte tra la cripta, l’altare e le panche della navata centrale, una delle quale dovrebbe rimanere permanente. La mostra è prevista per l’anno prossimo, per l’Anno del Giubileo, ovvero della remissione dei peccati e toccherà anche il Museo Diocesano.

Per la sua giovane età, Montinaro ha espresso in molteplici forme e in maniera estremamente personale la sua visione dell’arte. Nelle sue opere vedo talvolta una corrispondenza eccessiva, per dei temi così delicati, tra significato e significante. Come Parmiggiani, Eliseo Mattiacci e Giovanni Anselmo sono riusciti a fare, artisti che Montinaro esplicitamente ammira, dovrebbe forse rarefare la propria forma visiva, in un modo che essa riesca ad esprimere i concetti con una forza capace di trascendere la dimensione materiale; proprio come quando, durante una residenza, si è fatto tatuare sulla schiena da Jacopo Benassi i nomi di alcune persone decedute.

Foto di Gaia Contarino