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panorama

Loredana Longo

Catania 1967
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Lorenzo Madaro

Loredana Longo realizza la maggior parte dei propri lavori negli spazi in cui agisce, sia per le mostre che per il lavoro legato alla performance. Al centro di tutto c’è un’estetica della distruzione, che da circa vent’anni contrassegna il suo impegno legato alla scultura, all’installazione e all’azione. Nella casa-studio di Milano, dalle cui grandi vetrate si vede un paesaggio post-industriale, vive a stretto contatto con alcuni suoi lavori iconici: la scultura Victory, un tappeto e altri progetti. Estetica della distruzione è anche il titolo di una delle sue prime mostre personali a Catania nel 2005, una delle fasi d’avvio di una attività frenetica, plurale, perché Loredana Longo è una donna e un’artista piena di energie. Tra le mostre più significative, My Own War alla Gam di Palermo nel 2014; Piedediporco,del 2018, nella sede della Galleria Pantaleone (a Francesco Pantaleone è legata ormai da un profondo sodalizio); Creative Executions, performance prodotta da Officine Saffi nel 2019; Break, da Montoro 12 Gallery a Bruxelles, doppia personale con Serena Fineschi a cura di Marina Dacci, tra le più attente voci critiche italiane, che tra l’altro ha sempre letto con particolare sensibilità (e “verità”) il lavoro dell’artista catanese.

Chi ha investigato la ricerca di Loredana Longo sa che è artista dirompente, capace di relazionarsi di volta in volta con discordanti materie e processi creativi mediante una prestanza singolare, che unisce dialetticamente vigore e progetto, forza fisica a materiali insieme soavi ed energici, includendo nel processo creativo il ruolo contemplativo del pubblico partecipante, come rivelano le immagini delle sue performance. In una dicotomica relazione persistente tra opposti, si sono sviluppate anche le performance recenti, dando l’occasione all’artista di concepire interventi processuali e – di conseguenza ─ sculture strettamente connesse con la sua riflessione a maglie larghe dedicata ai paradossi del presente.

Ogni volta Longo è stata in grado di relazionarsi con impegno al contesto in cui ha agito, dialogando dialetticamente e mutando di volta in volta dettagli e messe in scena, perché il suo lavoro è anche una macchina scenica, un processo di trasformazione costante dei suoi stessi processi, com’è accaduto anche nel prodigioso scenario dei trulli della Valle d’Itria, nell’estate del 2019, in cui l’artista ha proiettato la sua paradigmatica parola Victory sull’esaltante groviglio di fumo, un istante dopo l’esplosione di decine di tubi in argilla fresca preparati da un artigiano.

La costellazione di frammenti ceramici che si compone dopo ogni performance evidenzia il “post war” di un campo di battaglia: brandelli ripiegati su sé stessi, bucati, violentati da un’esplosione con risultati inaspettati e – soprattutto – imprevedibili.

Rinunciando alle immagini o all’espressione verbale, che hanno caratterizzato buona parte del suo lavoro, Longo indaga spesso la struttura autosufficiente della forma, le sue abrasioni, le sue parti concave e convesse, le escoriazioni e le penetrazioni della materia nella materia stessa dell’opera.

Dal caos primigenio sono nate nuove forme. I suoi sono reperti di un mondo distrutto e che, nonostante tutto, respira, resiste, come alcuni materiali provenienti dalla vita vera, dal contesto domestico, come per esempio i tappeti, che sono tra i lavori più interessanti degli ultimi anni. È un ciclo ancora in corso, Carpets. Segnando con il fuoco la superficie morbida dei tappeti, traccia parole, frasi premonitorie, accentuando l’impiego della scrittura – che è parte integrante del suo discorso da moltissimi anni –, trasformando la morfologia plastica e compositiva del supporto per tracciare una categorica asserzione. Indissolubilmente legato a un impegno di natura teorica e politica, il ciclo Carpets accoglie frasi come Don’t Ask, Don’t Tell, Change Is the Law of Life e I Have a Dream.

Una intuizione poetica guida tutto il suo lavoro, che è rivelatore anche di un’attitudine aperta, quella di un’artista che in questi anni ha intercettato linguaggi dissimili, adottando talvolta anche il disegno e la pittura. La forza intrinseca del suo lavoro appartiene proprio a questa pluralità, che rischia a volte di esprimersi come caotica e non sistematica. Invece, quello che potrebbe essere letto come un punto a sfavore è proprio l’assiduità di tale attitudine, che vede Loredana Longo accantonare e poi riprendere un discorso, scivolando perennemente su più fronti del proprio archivio.

L’ideologia dell’aggressività che appartiene al nostro tempo, alla cronaca in atto, entra prepotentemente nell’immaginario sondato da Longo. Emerge una prossemica della sensualità, perché il suo gesto, anche quando volutamente violento, si muove in una polarità estetica-erotica.