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panorama

Leonardo Devito

Firenze 1997
Vive e lavora a Torino
Studio visit di Osservatorio Futura (Francesca Disconzi, Federico Palumbo)

Leonardo Devito condivide uno studio (Spazio Buho) con altri artisti toscani. Firenze, dove ha passato gran parte dell’adolescenza e della formazione, continua a esercitare un influsso che è ben rintracciabile all’interno dei suoi lavori. Essi sono influenzati, da una parte, dal Rinascimento e dall’attitudine dell’artista rinascimentale e, dall’altra, dalla fascinazione per una nuova città, Torino, che ben bilancia la parte storica con quella più underground e sperimentale. Mix che si traduce in una corrispondenza segreta tra le cose che ama e che fanno parte della sua sfera intima e autobiografica, e gli elementi storicizzati e arcaici.

Potremmo così sintetizzare il processo che porta Devito alla realizzazione dell’opera: prima esiste un’immagine mentale con cui egli instaura una relazione, dopodiché inizia la pittura. Quest’ultima si sviluppa in modo imprevedibile e presenta quasi sempre delle differenze rispetto all’immagine iniziale; lo sviluppo narrativo, insomma, si concretizza nello sviluppo del lavoro stesso.

Obiettivo del processo è sempre quello di bilanciare la narrazione tramite la coesione (e non la collisione) delle parti, mischiando gli elementi in modo che assumano lo stesso peso all’interno dell’opera, in un duplice tentativo di glorificazione dell’immagine e di smorzamento della tensione iconica e monolitica della dimensione storica. Vi è, da parte dell’artista, la ricerca di una certa leggerezza nel lavoro, sia tematica che formale, che passa attraverso l’ingenuità e la simpatia, attributi che rifuggono al peso del tempo e del tema. Ed è proprio questa ingenuità parte integrante e fondamento della pratica di Devito.

Le opere che egli stesso ritiene essere le meglio riuscite sono, del resto, quelle che definisce formalmente ingenue, con errori di composizione che, tuttavia, le sublimano. Da questo assioma deriva anche la scelta di rappresentare la fanciullezza, quasi fosse strumento di purificazione delle tematiche trattate.

In un periodo storico e culturale come quello contemporaneo, caratterizzato da tematiche di genere, ambientali, post-umane, Devito continua imperterrito nella costruzione di un immaginario personale, liberato dal peso dei dogmi di ricerca. La leggerezza e la nostalgia di fondo che aleggiano nella sua opera ci fanno dimenticare i grandi problemi della contemporaneità e ci immergono in una realtà altra, trasognata e liberatoria, atemporale e a-spaziale, sintonizzandosi su un canale empatico, spesso tralasciato dal dibattito artistico attuale.

L’elemento della fanciullezza torna nei lavori più recenti e nelle ultime mostre dell’artista (Torino, Londra, Napoli). In essi troviamo, tuttavia, un elemento inedito: il passaggio da una dimensione bidimensionale a una tridimensionale. Un passaggio naturale, considerato che, nella sua pittura, si evince subito una volontà tridimensionale, data da chiaroscuri che rimandano (anche cromaticamente) alle sculture bronzee dei corridoi di Ercolano o a opere dal retrogusto classico (Spaghetto a Porta Palazzo); viceversa, nelle sculture è presente un’impostazione bidimensionale, relegata alla visione frontale (Ghost Dance).

L’artista sceglie, come punto di mediazione, il bassorilievo, a cui attualmente sta dedicando maggior tempo, come dimostrano le opere Due fratelli o, ancora, Mamma sgrida figlio che guarda troppa tv. Esso viene quindi inteso come ponte ideale e ben riuscito tra la (falsa) profondità dell’immagine bidimensionale e quella scultorea e installativa.

Devito sa che non ci si può mai dire giunti a un livello stabile e definitivo. Ciò porta a un’interrogazione costante sul grado di maturità del suo lavoro. In effetti, attingendo a mani larghe da una dimensione così connotata e al contempo giocata sulla sfera personale e quotidiana, il rischio più grande potrebbe essere quello di cadere nella retorica. Inoltre, l’ingenuità potrebbe essere letta come una mancanza di profondità, che si riflette, in particolare, nei lavori più piccoli e grezzi, perché figli dell’impulsività e, indubbiamente, spontanei e liberatori.

La versatilità che caratterizza i suoi lavori, però, dal punto di vista formale e di scelta del medium, nonché la declinazione della sua poetica in cicli molto diversi ma coerenti tra loro, rappresentano i veri punti di forza della ricerca dell’artista.

foto Davide D’Ambra
foto Davide D’Ambra